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DIETROFRONT. La diplomazia indiana: un bene per tutti

Stefano Vecchia venerdì 22 marzo 2013
​Soddisfazione ufficiale, incredulità e evidenza sui media davanti a una notizia che è arrivata a notte inoltrata. I siti dei maggiori quotidiani e agenzie hanno immediatamente riservato i titoli d’apertura all’evento. Così l’India ha accolto la notizia del rientro dei due fucilieri di Marina italiani nell’ultimo giorno del loro permesso di quattro settimane. Il Paese che l’11 marzo aveva reagito con durezza al momento della comunicazione italiana che i marò sarebbero rimasti nel nostro Paese, nei giorno successivi aveva mostrato con chiarezza la triplice linea tenuta finora in una vicenda tanto significativa quanto singolare: l’imbarazzo del governo, la reazione delle opposizioni politiche e dei gruppi nazionalisti e l’impegno della diplomazia a cercare di non «rompere il filo del dialogo». Nel primo caso, il «tradimento» del nostro governo rispetto alla parola data, garantita avanti alla Corte suprema dal nostro ambasciatore a New Delhi, aveva costretto il 19 marzo ad un duro intervento Sonia Gandhi, presidente del Partito del Congresso che guida la coalizione di maggioranza. La Gandhi, che le opposizioni avevano accusato di essere ancora una volta responsabile di una «italian connection», manovre facilitate dalle sue origini italiane, aveva definito «inaccettabile» la sfida di Roma sulla questione dei due marò.Una posizione necessaria e comprensibile, davanti all’impegno dei mass media nell’occasione, intenso anche nel comunicare il disagio del Paese nella vicenda e non soltanto il «tradimento» italiano e a fronte delle pressioni dell’opposizione guidata dai nazionalisti indù del Bharatitya Janata che fino dal 20 febbraio 2012, data del fermo dei nostri militari, ha giocato la vicenda a fini politici. Ponendola anche al centro della campagna elettorale appena avviata per le elezioni del prossimo anno.Infine pronta anche la reazione della diplomazia indiana, che con il ministro degli Esteri, Salman Khurshid, ha subito definito «un bene per i due Paesi» l’iniziativa italiana di rimandare a New Delhi i due marò. Una posizione, quella della fermezza ma non della rottura, costante in tutte le ultime fasi del braccio di ferro. Senza mai forzare i toni, cosciente forse del fatto che l’India avrebbe sempre avuto poche carte da giocare sul piano della legittimità internazionale all’arresto dei marò e della richiesta di giudicarli sul suolo indiano, seppure da parte di una corte speciale che ancora non ha preso forma nella capitale.