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Intervista. Paul Bhatti: «Da credenti non possiamo che andare avanti»

LUCIA CAPUZZI mercoledì 11 maggio 2016
«Se volete rendermi onore non chiamatemi eroe. Ma unitevi alla mia lotta per la libertà dell’essere umano ». In questa frase si riassume l’esperienza di Khurram Zaki, l’attivista assassinato domenica a Karachi. «Era il suo leit motiv. Ricordo di aver letto vari interventi in cui lo ripeteva. Khurram Zaki credeva nella dignità di ogni uomo e donna, al di là del credo religioso o dell’appartenenza politica. Ed era pronto a giocarsi la vita per difendere tale principio, premessa della democrazia, in Pakistan e nel mondo». Paul Bhatti, presidente dell’All Pakistan Minorities Alliance (Apma) ed ex ministro per l’Armonia religiosa, conosce sulla propria pelle il prezzo di una simile scelta. Il fratello, Shahbaz, ministro e difensore delle minoranze, è stato assassinato dagli estremisti il 2 marzo 2011. Lui stesso ha subito pesanti minacce. Eppure va avanti. Perché lo fa? Ne vale davvero la pena? Come credente non posso fare diversamente. Sono cattolico e ritengo la difesa della dignità umana un dovere inderogabile. Proprio come Zaki che, però, era islamico e sciita. Spesso si enfatizzano le differenze tra fedi. Si dimentica, però, che non si può adorare Dio – comunque lo si chiami – calpestando gli altri. Né si può essere davvero umani se non si riconosce l’umanità di chi ci sta di fronte. In Pakistan esistono tanti non credenti, musulmani, indù, cristiani, uniti da tale consapevolezza. E pronti a lottare insieme. A volte si sottolinea il radicalismo islamico ma non le voci interne all’islam combattono in prima linea l’estremismo. Posso dire che come Apma collaboriamo con tantissimi musulmani, impegnati nel contrasto al fondamentalismo. E, anzi, direi che la loro testimonianza è ancora più importante. Soprattutto nei confronti di quel 50 per cento della popolazione pachistana tuttora analfabeta. Quest’ultima è facilmente influenzabile dalla predicazione radicale. Se è un cristiano a rivelare l’infondatezza di certi proclami estremisti, può pensare che lo dica per proprio interesse. Se ad affermarlo è un altro musulmano ha molta più possibilità di essere ascoltato. Ecco, perché ripeto spesso che contro l’estremismo l’arma più efficace è l’educazione, intellettuale e religiosa Cosa intende? Tanti, spesso, seguono gli imam radicali perché non solo non conoscono le altre religioni, bensì perché non conoscono davvero l’islam. È necessario promuovere uno studio serio del Corano e della religione musulmana, chiarendo quei passaggi che, ad una prima lettura, sembrerebbero giustificare la violenza. Tali affermazioni devono essere interpretate nella giusta prospettiva, altrimenti si finisce per fraintendere e dare un’immagine totalmente falsata. Negli ultimi tempi, il Pakistan sta compiendo dei passi concreti , in particolare nella lotta al fondamentalismo. Il processo è ancora lungo. La chiusura delle madrasse più estremiste, però, è un buon inizio.