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La Giornata mondiale. Da bimbo-soldato a imputato, leader dei ribelli

Lucia Capuzzi venerdì 13 febbraio 2015
Blusa azzurra, sguardo fermo, voce profonda. Difficile, a prima vista, riconoscere nel 35enne che il 26 gennaio si è seduto al banco degli imputati della Corte penale internazionale dell’Aja, il bimbo sequestrato nel 1990, nel nord dell’Uganda dal Lord’s resistance army (Esercito di resistenza del Signore, Lra). All’epoca, Dominic Ongwen aveva 10 anni e non immaginava di poter diventare uno dei leader del feroce gruppo armato che ancora terrorizza l’Africa centroorientale. Per la sua attività al fianco del capo Joseph Kony negli ultimi 25 anni, Ongwen è imputato per crimini di guerra e contro l’umanità. Nella video testimonianza, girata dai militari ugandesi e proiettata all’Aja, mentre descrive gli inizi nel campo di addestramento in Sud Sudan, però, Dominic sembra solo uno dei 250mila bambini-soldato impiegati da almeno 57 eserciti, regolari e irregolari, nel mondo, in base agli ultimi dati diffusi ieri, in occasione della Giornata mondiale contro l’arruolamento di minori. Il 40% sono femmine, in genere sfruttate come schiave sessuali o serve dei miliziani. I maschi, invece, vengono utilizzati come “carne da cannone”.  Dominic è una delle eccezioni. «Ero una recluta promettente», ha raccontato. Per questo, Kony – anche lui ricercato dalla Corte dell’Aja per crimini contro l’umanità –, l’ha nominato comandante di plotone a 14 anni e generale a 28, il più giovane degli ufficiale del Lra a raggiungere tale grado. Come leader della “brigata Sinia”, Ongwen ha compiuto direttamente o ordinato di compiere ogni genere di atrocità in nord Uganda, Sud Sudan, Congo e Repubblica centrafricana. Una sequenza di orrori interrotta dalle tensioni con Kony, cominciate nel 2008. È a quel punto che Dominic dice di essere stato “ceduto” a varie milizie, finché, esasperato, avrebbe deciso di consegnarsi agli americani che, nel 2013, avevano messo su di lui una taglia di cinque milioni di dollari. Ora dovrà affrontare i giudici della Corte penale: tre le principali accuse, quella di aver a sua volta arruolato migliaia di piccoli.  Una prassi drammaticamente diffusa. «In un momento in cui si assiste ad un proliferare senza precedenti di conflitti, che coinvolgono 15 milioni di minori, l’impiego dei bimbi continua  ad essere sistematico, a dispetto delle leggi internazionali. Non solo: il fenomeno sta subendo un’ulteriore evoluzione», spiega ad Avvenire, Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia. I baby-soldati sono «utilizzati come “armi di propaganda virtuale” – aggiunge Iacomini –. Per arruolare altri minori, per terrorizzare il nemico, per choccare l’opinione pubblica. Questo accade soprattutto in Siria e in Iraq, dove c’è un vero e proprio “reclutamento 2.0”. I video dei piccoli che combattono, uccidono, plaudono ai crimini del loro gruppo sono diffusi in Rete come “strumento di promozione” ». Un effetto perverso dell’evoluzione tecnologica dei conflitti e del tentativo dei terroristi di manipolare Internet. Un altro sviluppo inquietante è quello dei “baby-kamikaze”. I gruppi armati – dall’Afghanistan alla Nigeria – utilizzano sempre più bimbi e bimbe come attentatori suicidi, in modo da eludere i controlli. A 15 anni dal Protocollo alla Convenzione sui diritti dell’infanzia – che proibisce l’impiego dei minori nei conflitti –, il panorama resta fosco. «Il trauma dei baby soldati li segna per sempre, però con cure, attenzioni e sostegno riescono a ritrovare la normalità che gli era stata negata», afferma Kostas Moschocho-ritis, direttore di Intersos. Dello stesso parere gli esperti di Coopi. «Moussa è arrivato al nostro centro in Centrafrica a 16 anni, dopo sei anni da miliziano – raccontano –. Ci ha chiesto se qualche ex bambino soldato era mai riuscito nella vita. Gli abbiamo insegnato a leggere e l’abbiamo iscritto a un corso di fotografia». Con la sua macchina, ora Moussa ritrae i piccoli salvati dal progetto. Per loro, almeno, la guerra è finita.