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Crisi spagnola. Gli scenari futuri per la Catalogna

Sergio Soave sabato 4 novembre 2017

LA SOLUZIONE «GIUDIZIARIA»

L’applicazione rigorosa (e rigorista) della legge agli esponenti del secessionismo catalano ha l’affetto inevitabile di incancrenire una contrapposizione che ha antiche radici storiche e una vasta base di consenso, rendendola irrisolvibile. Ci vorranno anni e forse decenni per uscirne, ma è difficile pensare che questi anni vedano la classe dirigente catalana in carcere. Da questa costatazione nasce l’esigenza di ridare uno spazio adeguato alla politica, il che significa che è necessario, con qualche atto legislativo straordinario o con una diversa interpretazione giurisprudenziale sulla natura dei «crimini» di insubordinazione e ribellione, attenuare la presa del sistema giudiziario con atti di distensione e di clemenza. Questo può essere, per esempio, un atto che accompagni una modifica costituzionale in senso federalista accompagnato da una sostanziale accettazione di un nuovo terreno di confronto che resti all’interno dello Stato spagnolo, o può coincidere come l’emanazione di una amnistia, ma è una condizione indispensabile per ristabilire un minimo di agibilità politica per i possibili protagonisti di un futuro dialogo. Senza questa prospettiva, anche il diritto, riaffermato da parte delle autorità spagnole, dei secessionisti detenuti di poter partecipare alla competizione elettorale catalana suona come una beffa che si aggiunge al danno.

GLI ERRORI COMPIUTI

Ogni giorno che passa mette in luce l’errore commesso da Carles Puigdemont con la sua scelta di trasferirsi all’estero e di rivendicare da lì il suo ruolo di presidente di una fantomatica repubblica catalana. In questo modo rende concrete le due condizioni, pericolo di fuga e continuazione del reato, che hanno reso possibile l’incarcerazione degli altri ministri del suo esecutivo. Non voler riconoscere che il “proces” è terminato perché non esistono le basi istituzionali, economiche e internazionali dell’indipendenza catalana, l’insistenza nel far prevalere una passione sulla ragione e persino sugli interessi degli stessi catalani, si sta dimostrando catastrofica. Non a caso era stata proprio la Cup, l’ala più estremista del catalanismo con cui il partito di Puigdemont aveva dichiarato che avrebbe rotto le relazioni immediatamente dopo il referendum, a evocare l’idea di un governo catalano in esilio. Che poi l’ex presidente abbia adottato questa tattica per ragioni più terrestri dell’idealismo anarcheggiante della Cup non cambia la situazione, ne immiserisce soltanto i contorni. La presenza attiva di una rappresentanza della repubblica catalana, per quanto inesistente, ostacola ogni possibilità se non di dialogo almeno di convivenza tra Spagna e Catalogna e all’interno della Catalogna tra separatisti e unionisti, e Puigdemont ne è uno dei principali responsabili.

LA RINUNCIA ALLA SECESSIONE

Si è arrivati al peggiore scenario possibile, ed è il momento che chi ha senso di responsabilità lo eserciti. Per lo Stato spagnolo è difficile fare un passo indietro, per i vincoli costituzionali insuperabili, che però riguardano la secessione, non la propaganda secessionista. Distinguere tra l’atto eversivo concreto, che in realtà non è stato realizzato, e la agitazione politica a suo favore non sarà semplice e per farlo Mariano Rajoy deve ingoiare un rospo. Egualmente per i secessionisti è indispensabile rinunciare a dare per costituita la repubblica catalana in modo da ricollocare la contesa sul terreno politico. Qualche piccolo segnale in questa direzione lo si può riscontrare nella liberazione sotto cauzione dell’ex ministro catalano Santi Vila, che concorrerà per la guida in campagna elettorale del PdeCat, il partito di Puigdemont. Se vincerà non si realizzerà il listone secessionista con la Erc (sinistra repubblicana catalana) e questo darebbe un po’ di spazio a una gestione non eversiva della futura Generalitat. Lo spazio per un reciproco passo indietro richiede il riconoscimento da parte dei due schieramenti che non è possibile separare la Catalogna dalla Spagna ma nemmeno amministrarla dall'esterno e contro le aspirazioni di una parte consistente della popolazione. Cioè il riconoscimento della realtà, anche quando non coincide con i desideri. È difficile per tutti uscire dalla presunta area di sicurezza garantita dalla «fermezza sui principi» finora proclamata, ma se questi principi applicati con rigidità portano a un progressivo peggioramento della situazione, vuol dire che potrebbero essere declinati con elementi di flessibilità che non ne intaccano il valore ma li rendono confrontabili, anche se ancora non compatibili, con quelli altrui. È quella che si chiama politica.