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LA CRISI ATOMICA. Banche, armi, finanza: le sanzioni contro l'Iran

Luca Geronico mercoledì 19 maggio 2010
Presto nuove sanzioni contro l’Iran: una bozza di risoluzione di dieci pagine è stata fatta circolare ieri al Palazzo di Vetro. L’annuncio del segretario di Stato americano Hillary Clinton è giunto come una risposta quasi dovuta, dopo l’accordo sull’arricchimento dell’uranio fra Iran Turchia e Brasile. La bozza - concordata da Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Cina e Russia, da approvarsi entro la prima metà di giugno - prevede una quarta tornata di sanzioni contro l’Iran per il suo controverso programma nucleare. Il documento prevede, tra l’altro, una nuova stretta al commercio di armi, l’instaurazione di un regime di severi controlli dei mercantili iraniani in mare e nei porti, oltre che delle attività delle banche iraniane, e maggiori controlli su tutte le transizioni finanziarie e assicurative. Il testo chiede anche la messa al bando di ogni licenza all’estero per gli istituti di credito degli ayatollah se sospettati di aver legami con il programma di proliferazione nucleare. Il documento chiude ribadendo la «grave preoccupazione» per la decisione di Teheran di proseguire comunque le attività di arricchimento dell’uranio al 20%.Dopo mesi di trattative, infatti, lunedì l’annuncio dell’accordo per la produzione di uranio arricchito iraniano sul territorio turco ha rimesso in moto gli inceppati meccanismi della trattativa nucleare. L’intesa, accolta con mal celata sorpresa sull’altra sponda dell’Atlantico, è chiara: Teheran depositerà in Turchia 1.200 dei suoi 1.500 chilogrammi di uranio arricchito al 3,5% in attesa che, entro un anno, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica gli garantisca la fornitura di 120 kg di combustibile prodotto da uranio arricchito al 20% per alimentare un reattore con finalità mediche. Un patto incrociato, favorito da Brasile e Turchia, che ricalca la proposta avanzata lo scorso ottobre dalla Francia. Un’improvvisa apertura da parte di Teheran dopo mesi di serrata propaganda anti-occidentale subito salutata dalla Cina come positiva.Da Tunisi, dove era in visita ufficiale, il ministro degli Esteri di Pechino Yang Jiechi esprimeva «apprezzamento per gli sforzi diplomatici» finalizzati a «cercare una soluzione appropriata al problema del nucleare iraniano». Un invito al «dialogo» e al «negoziato» che evidentemente trovava immediata corrispondenza nel rappresentante cinese in Consiglio di sicurezza. Pechino dava il suo via libera mentre Teheran chiedeva all’Aiea e alle grandi potenze una risposta rapida al nuovo progetto. Un modo di gettare la palla nel campo Occidentale, Stati Uniti in primis. Ore di febbrili consultazioni – si può supporre – per un’improvvisa accelerazione. Dapprima il Dipartimento di Stato americano che esprimeva «scetticismo» sulla reale portata dell’accordo. Di diverso avviso il premier turco Erdogan che definiva l’accordo di lunedì un’«opportunità unica». Toccava a quel punto al segretario di Stato Hillary Clinton interrompere il pressing di Brasile e Turchia che reclamavano addirittura un posto al tavolo delle trattative assieme al gruppo dei «5+1» (Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna, Germania). «Sforzi sinceri» quelli di Brasile e Turchia, ma per Washington non è che l’ennesima manovra diversiva di Teheran per allontanare la pressione internazionale.Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha fatto sapere che si aspetta «maggiore impegno» da parte di Teheran. Se non una condanna, già una chiamata in appello.