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Mozambico. Il dramma di Beira devastata dal ciclone. Il vescovo: noi con la gente

Andrea Frison sabato 30 gennaio 2021

I danni del ciclone Eloise in Mozambico

«Quello che ci preoccupa è che fenomeni come il ciclone Eloise una volta si ripetevano da una decina di anni l’uno dall’altro e invece ora arrivano con grande frequenza. Per la città di Beria che ha molti quartieri sotto il livello del mare, questi fenomeni si sommano all’innalzamento del livello degli oceani rendendo il futuro più incerto».

Sono le parole del vescovo italiano di Beira, dom Claudio Dalla Zuanna, a pochi giorni dal ciclone che ha colpito la città mozambicana.

Dopo quello del 29 dicembre scorso, che ha provocato pochi danni, il ciclone Eloise del 23 gennaio «ha inondato i quartieri di periferia costruiti su quelle che fino a molti anni fa erano risaie. Per fortuna è coinciso con la bassa marea e quindi le paratie dei canali di scolo, che servono ad impedire all’acqua del mare di entrare in città, sono rimaste aperte evitando un allagamento generale».

I danni del ciclone Eloise in Mozambico - Reuters

Il ciclone, sommato alle alluvioni, ha causato oltre 260mila sfollati in tutto il Mozambico, e 21 persone sono morte a causa della combinazione di forti piogge e di venti. La situazione più grave è proprio nella città portuale di Beira,

«I forti venti – racconta ancora il vescovo Dalla Zuanna – hanno provocato danni a molti edifici, quelli più alti e quelli più precari. La mia casa, rimessa in sesto con tanto impegno da numerosi volontari dopo il ciclone del 2019, ha perso la parte centrale del tetto. Le lamiere erano così ben fissate che il ciclone non ha avuto altra scelta che portarsi via anche il legname su cui erano ancorate. Le altre opere della diocesi che erano state riabilitate dopo il ciclone del 2019 hanno avuto pochi danni, a parte una scuola che ha sei sale scoperchiate e un salone parrocchiale che ha perso totalmente il tetto».

La preoccupazione del vescovo, però, è rivolta al futuro e ai problemi che possono provocare i sempre più frequenti cicloni. «C’è poco che si possa fare – ammette dom Claudio -. Qualche casa può essere costruita con tecniche di resilienza, ma per la maggior parte questo è impossibile esche proprio il terreno basso e pantanoso esige dei costi maggiori per una popolazione che non può permettersi nemmeno una casetta convenzionale. Sono alcune migliaia le persone che hanno dovuto allontanarsi da casa perché totalmente immersa nell’acqua. Allontanarsi dalla città significa perdere quel minimo di sostegno per la sopravvivenza reso possibile dall’economia informale che le città offrono».

«Non ci resta che tenere alta la testa – conclude il vescovo – e camminare con la gente, nella fiducia che già una volta un popolo ha attraversato a piede asciutto un mare che gli impediva di avanzare verso la vita».