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L'iniziativa. Canto e capoeira. Il riscatto dei baby-detenuti di Haiti

Lucia Capuzzi, inviata a Port-au-Prince (Haiti) giovedì 23 gennaio 2020

Disposti uno a fianco all’altro, i ragazzini fissano il pentagramma disegnato sulla lavagna. A un cenno dei maestri, Valentin e Semiro, le loro bocche si dischiudono. E, in coro, intonano “Fratelli d’Italia”, in perfetto italiano. Mentre cantano, si fa fatica a ricordarsi di essere all’interno del “Centre de reeducation des mineurs en conflit avec la loi” di Port-au-Prince, unico carcere per minori di Haiti. Nel resto del Paese, gli adolescenti vengono rinchiusi negli stessi penitenziari degli adulti, sebbene in sezioni separate. Almeno in teoria. Con oltre 10.500 detenuti – i tre quarti in attesa di giudizio -, il Paese più povero d’Occidente è anche il secondo al mondo – dopo le Filippine - per sovraffollamento carcerario: 454 per cento, secondo l’Institute for criminal policy research dell’Università di Londra. Ammassati in cento in celle fatte per venti persone, uomini e donne attendono anni prima di andare in tribunale. L’attuale recessione economia ha peggiorato ulteriormente la situazione: il cibo, già scarso, arriva ormai con il contagocce, le medicine sono introvabili. Le morti per malnutrizione, malattie banali o risse non si contano: sono state 86 vittime solo negli ultimi nove mesi.
I 49 baby reclusi del “centre” della capitale, almeno, hanno una struttura tutta per loro. Alcune delle sei maxi celle hanno perfino delle brandine. Soprattutto, grazie all’impegno delle Organizzazioni non governative e delle Chiese, gli adolescenti reclusi hanno a disposizione attività a cui “fuori”, nelle baraccopoli in cui sono nati e cresciuti, non hanno mai avuto accesso. Come i corsi di musica e capoeira, realizzati con il sostegno di Caritas italiana. Due volte alla settimana, i ragazzi si ritrovano nella sala centrale del “centre” per le lezioni.


Stavolta sono più eccitati del solito. E’ il momento di mostrare quanto appreso finora ai visitatori, tra cui il responsabile di Caritas italiana ad Haiti, Alessandro Cadorin. Con indosso le uniformi verde acceso, tre adolescenti si avvicinano alla lavagna e, uno dopo l’altro, leggono spediti le note sul pentagramma. Un risultato non da poco: oltre un terzo di loro non è mai andato a scuola e non sa scrivere.


Poi è la volta della capoeira. Guidati dall’insegnante, Michel, simulano l’antica lotta degli schiavi brasiliani a passo di danza. Il gran finale è il canto, accompagnati dal flauto suonato da uno dei ragazzi. «L’obiettivo è creare una banda del centro – spiega padre Jean Robert, responsabile della pastorale carceraria dell’arcidiocesi di Port-au-Prince ¬-. Ce la stiamo mettendo tutta e nei prossimi mesi speriamo di poterla La musica implica disciplina, lavoro di squadra, passione e impegno. Per questi ragazzini, è una preziosa scuola di vita». Anderson annuisce: «Qui stiamo imparando cose che non abbiamo mai avuto la possibilità di conoscere. Forse, anche io posso avere un posto nella società».