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Covid. Un anno dopo, il Brasile è tornato dentro l'inferno. Superati i 300mila morti

Lucia Capuzzi sabato 27 marzo 2021

Seppellimenti notturni al cimitero di Vila Formosa a San Paolo

La scena si ripete, monotona. Quattro uomini prendono la cassa, la agganciano alla gru e la calano nella fossa, già pronta. In quella manciata di minuti, viene concesso ai parenti di scendere dall’auto per dare un estremo saluto. Quando la terra inizia a coprire il feretro, i familiari devono risalire in macchina e lasciare il posto al successivo carro funebre.

La macabra staffetta si sussegue, nelle ultime settimane, in media, ottanta volte al giorno a Vila Formosa, il più grande cimitero di San Paolo e dell’America Latina. Per soddisfare le richieste, gli addetti hanno dovuto contingentare al massimo i tempi. Nemmeno la catena di montaggio funeraria, però, è stata sufficiente. Da giovedì, il Comune ha dovuto prolungare l’orario di apertura di quattro ore.

A Vila Formosa e altri tre luoghi della pietà della metropoli si lavora fino alle 22, con la luce flebile di qualche faretto. Le bare in attesa, però, restano sempre troppe. In questo Brasile, di nuovo focolaio mondiale della pandemia, San Paolo è l’epicentro. Venerdì, la città ha toccato il picco di 1.193 morti in 24 ore, ieri sono stati 1.051.

Nel resto del Paese non va meglio: giorno dopo giorno, il Gigante del Sud supera tragicamente se stesso. Mercoledì, secondo solo agli Usa, anche la soglia dei 300mila decessi, di cui centomila in meno di 11 settimane. Con una media doppia rispetto al 2020. E il virus continua ad accelerare, al ritmo di almeno 50mila contagi e 3.650 vittime solo ieri.

Ma è, tristemente, solo l’ultimo record. Con appena il 2,7 per cento della popolazione mondiale, il Brasile concentra l’11 per cento dei decessi globali. Là, dunque, il Covid uccide quattro volte di più rispetto al resto del pianeta. E nell’ultima settimana, ha accumulato il 25 per cento delle vittime mondiali. Buona parte, inoltre, ha meno di sessant’anni. La mortalità dei ricoverati fra 18 e 45 anni è addirittura triplicata da febbraio. Colpa, certo, della variante amazzonica, più aggressiva e letale.

Protesta contro Bolsonaro a Brasilia - Ansa


È difficile, tuttavia, pensare che la controversa gestione del presidente negazionista Jair Bolsonaro non abbia influito nel trasformare il Paese in una «bomba a orologeria». Così l’ha definita l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e la sua filiale regionale (Paho) ha parlato di «minaccia», in quanto «fabbrica di varianti», per la salute mondiale. In quasi tutti i sette Stati confinanti si è registrato un incremento dei casi e molti hanno chiuso le frontiere.

In questo scenario preoccupante, l’Agenzia Onu per la salute ha chiesto alle autorità brasiliane di «prendere la crisi più seriamente» e di «operare un allineamento di poteri» per uscire dal tunnel. Il braccio di ferro tra i governatori – favorevoli a lockdown e restrizioni– e Bolsonaro – radicalmente contrario – va avanti dall’inizio della pandemia, alimentando il caos. Solo all’inizio della settimana, Bolsonaro ha creato una task force di consulenti scientifici per affrontare l’emergenza. La decisione – arrivata con un anno di ritardo e 300mila morti di troppo –, oltretutto, gli è stata “estorta” dal Congresso, in piena rivolta.

Perfino gli alleati si sono smarcati dal presidente. Il capo della Camera, Arthur Lima – esponente della coalizione di centro-destra il cui sostegno è cruciale per l’esecutivo – non ha esitato ad agitare lo spettro dell’impeachment per convincerlo.

Un’ipotesi non troppo remota: sono decine le richieste di messa in stato d’accusa presentate da opposizione, attivisti, società civile. L’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha accusato Bolsonaro di essere il responsabile «del genocidio più grande della storia» in un’intervista a Der Spiegel. Tuttavia, quest’ultimo non sembra intenzionato a cambiamenti. Mercoledì, mentre il bollettino dei morti superava per la prima volta quota 3mila (senza però fermarsi i giorni dopo), il presidente difendeva in tv la propria strategia. E il neo-ministro della Sanità, Marcelo Queiroga – il quarto dall’inizio della crisi – ha ribadito il no alla quarantena nazionale. Nel frattempo, gli ospedali scoppiano.

Terapie intensive piene nello Stato di San Paolo - Ansa

Tre Stati – Acre, Rondônia e Rio Grande do Sul – non hanno più un letto libero in terapia intensiva. In metà del Paese e in 19 capoluoghi su ventisei, queste ultime sono piene al 90 per cento. Anche chi trova posto, poi non sempre riceve ossigeno. E non scarseggia solo quest’ultimo: i farmaci rischiano di esaurirsi in due settimane.

Il New York Times ha parlato di «disastro annunciato del Brasile» mentre il Washigton Post ha raccolto le testimonianze dei medici di Florianopolis e Fortaleza costretti a scegliere quali pazienti salvare e quali lasciare morire. L’immunizzazione procede con estremo rilento. L’unico spiraglio è l’imminente avvio della sperimentazione clinica per il “vaccino brasiliano”, prodotto dall’Istituto Butantan. Il farmaco potrebbe essere disponibile già a luglio. Con i numeri attuali, tuttavia, quattro mesi sembrano un tempo infinito.