Mondo

L'INIZIATIVA. Benin: così gli italiani danno un nome ai bambini

giovedì 24 settembre 2009
Bambini senza nome. O, meglio, un nome ce l’hanno, ma vale solo per i genitori e gli amici. Per lo Stato, invece, quei bambini non esistono perché alla nascita nessuno li ha registrati all’anagrafe. Così, quando vogliono iscriversi a scuola le cose non sono affatto facili. Dove sono nati, quando: domande alle quali spesso persino i genitori non sanno rispondere e così finisce che a scuola nemmeno si presentano. E, del resto, nessuno li viene a cercare, perché ufficialmente non esistono. Come accade in vaste aree del mondo, anche in Benin, Paese africano tra i più poveri del pianeta, la mancata iscrizione all’anagrafe impedisce a migliaia di bambini di andare a scuola o all’ospedale. Ecco perché la fondazione Regard d’amour, insieme all’organizzazione di cooperazione Intervita, ha lanciato un progetto di cooperazione che parte proprio da questo: garantire a 6 mila bambini sotto i 10 anni la registrazione e fare capire alle famiglie che quando nasce un figlio, iscriverlo agli uffici dell’anagrafe – anche se è lontano e bisogna andarci a piedi – è fondamentale per il suo futuro. Il progetto però non finisce qui: grazie al sistema delle adozioni a distanza, a 500 bambini delle famiglie più povere saranno pagate l’iscrizione a scuola e la fornitura di libri e quaderni. Non solo: nelle scuole di tre villaggi saranno allestite infermerie che garantiranno cure mediche a 8 mila bambini.«Io, da figlia di analfabeti a ministro». Claire Houngan Ayemonna sorride spesso e gli occhi le brillano quando parla del suo Paese, il Benin. È stata ministro della Famiglia e oggi è un alto magistrato della Corte di appello e presiede la Fondazione Regard d’Amour, che cerca di migliorare le condizioni di vita dell’infanzia. Del resto, lei stessa ha alle spalle una storia di povertà: l’ha raccontata a Popotus durante un incontro a Milano. Come è riuscita una figlia di analfabeti a diventare ministro? «Mia madre è cresciuta con il rimpianto di non aver potuto studiare - spiega -. A 14 anni abbandonò il lavoro nei campi di caffè e di cacao che le imponeva suo padre e si improvvisò commerciante. Rivendeva nei villaggi i prodotti alimentari che acquistava in città. Poi incontrò mio padre, che aveva molte altre moglie e tantissimi figli. Per mio padre io e i miei 7 fratelli non dovevamo studiare, l’istruzione era un lusso, ma mia madre si impuntò. Dovette pagare lei tutte le spese; è grazie al suo sacrificio che io ho potuto diventare magistrato. È per questo che sono convinta che solo l’istruzione può fare uscire le persone dalla povertà».Il Benin, in pace ma poverissimo. Nella lista dei 177 Paesi del mondo, classificati in base alla ricchezza, il Benin si trova al 163esimo posto. In altre parole, è poverissimo: la vita media arriva a malapena a 57 anni e ogni 100 bambini che nascono, 15 moriranno prima dei 5 anni. Il Benin, che ha 7 milioni di abitanti, si trova nell’Africa nord-occidentale, e il fatto di essere così povero e privo di risorse – non ci sono né diamanti né petrolio – perlomeno ha garantito la pace, a differenza di quanto accade in molti Paesi africani. Malgrado gli sforzi del governo, però, le condizioni di vita della popolazioni sono terribili: gli uomini sposano più donne (è la poligamia, fuori legge ma ancora praticata), ogni donna partorisce 5 o 6 bambini e molti di loro vengono abbandonati oppure rapiti dai trafficanti che li portano a lavorare nelle piantagioni di cotone dei Paesi vicini.