Mondo

L'intervista . «Asia crede ancora nella giustizia»

Paolo Affatato venerdì 7 novembre 2014
«Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore. Nel giorno in cui t’ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza. Eccelso è il Signore e guarda verso l’umile. Se cammino in mezzo alla sventura, tu mi ridoni vita. Stendi la mano e la tua destra mi salva. Il Signore completerà per me l’opera sua». Così prega Ashiq Masih, marito di Asia Bibi, la donna e madre cristiana pachistana condannata e morte per blasfemia. Con lo stesso salmo prega Asia, in cella nel braccio della morte del carcere di Multan. Così i due, riferisce l’uomo ad Avvenire, tengono desta la comune speranza. Un lavoro da fac totum in un istituto scolastico, frequentato dai suoi figli. Una vita semplice, in tutta umiltà, nell’attesa di una sospirata buona notizia. Cinque anni fa Ashiq ha dovuto trasferirsi dalle campagne di Ittanwali, dove non era più al sicuro, nella città di Lahore, capitale del Punjab. A 50 anni, un terremoto per lui e per i figli. Oggi aiuta la “Renaissance Education Foundation”, che si occupa della sua famiglia e segue anche a livello legale il caso di Asia. In appello l’Alta Corte di Lahore ha confermato la condanna, infrangendo le illusioni che Ashiq aveva cullato. Anche per i cinque figli, l’abbraccio con la madre è rimandato. «Tutti noi speravamo nell’assoluzione in appello», racconta Ashiq. «Ma così non è stato. Ora confidiamo che la Corte suprema faccia giustizia e liberi Asia dalla catene in cui l’ha ridotta la legge di blasfemia. Nonostante tutto, abbiamo ancora fiducia nella giustizia».  Dopo la brutta notizia, una nube di tristezza ha avvolto la famiglia. Ma «ogni giorno preghiamo per Asia, perché Dio la liberi presto, secondo la sua volontà. Restiamo uniti, lei è presente nei nostri cuori», nota l’uomo. La preghiera formulata con fede è rifugio e sollievo in questa sofferenza: «Crediamo possa aprire tutte le porte», spiega. Per questo Asia stessa ha voluto scrivere al Papa, chiedendo a Francesco di pregare per lei in questo momento difficile, mentre le tenebre sembrano averla vinta sulla luce. «La fede la sorregge, è la sua roccia. La Bibbia è la sua compagna quotidiana. Confida in Dio e nel suo amore. Per questo è viva», dice Ashiq della moglie. Le ha fatto visita nei giorni scorsi in carcere e riferisce ad Avvenire: «Ha il cuore spezzato. Fra le lacrime chiedeva a Dio di avere misericordia di lei e di farla uscire dal carcere. Farei qualunque cosa per aiutarla ». «Abbiamo cercato di confortarla – aggiunge – dicendole che le comunità cristiane in tutto il mondo sono al suo fianco e pregano per lei, mentre tante persone si stanno prodigando per restituirle la libertà» Numerose istituzioni chiedono al governo pachistano di interessarsi direttamente a un caso palesemente strumentalizzato. Ashiq apprezza che «la comunità internazionale lo stia facendo per conto di Asia». Anche se vi sono distorsioni: alcune Ong hanno cercato di sfruttare il caso, speculandoci sopra. E c’è chi ha messo in giro la voce, subito smentita, di un presunto nuovo matrimonio di Ashiq. Ma le forze umane non bastano: «Se Asia uscirà viva da quel carcere, se riavrà una vita di libertà e di amore, sarà per opera di Dio. Gli chiediamo ogni giorno di “completare l’opera sua”, come dice il salmo». Così prega Asia, così prega Ashiq. Così restano uniti.