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Il caso. Asia Bibi, una «speranza» per la libertà

Stefano Vecchia mercoledì 31 agosto 2016
Resta confermata per la seconda settimana di ottobre l’udienza della Corte suprema del Pakistan per valutare la condanna a morte per blasfemia di Asia Bibi, cattolica e madre di cinque figli, in carcere a Multan da 2.626 giorni. Dopo la sospensione della pena capitale il 22 luglio 2015, la donna è in attesa di conoscere definitivamente la propria sorte, cosciente che, se i giudici supremi dovessero deliberare la sua libertà, la sua esistenza e quella della sua famiglia costretta alla clandestinità resterebbero comunque esposte alla vendetta degli estremisti. Vi è però una tenue speranza, anche all’interno della Chiesa pachistana, che la donna veda la fine di una vicenda unica per durata e complessità. «Speriamo davvero che possa essere liberata», ha segnalato l’arcivescovo di Lahore, monsignor Sebastian Francis Shaw all’agenzia Uca News . Speranza espressa anche dall’avvocato musulmano Saif-ul-Malook, che ha rilevato la difesa dell’imputata dopo la conferma in appello della sentenza di primo grado. Una sentenza che per Malook è stata influenzata da fattori come la fede cristiana e la scarsa notorietà del suo predecessore. «Ora – prosegue Malook – ho forti speranze che possa essere rilasciata. Anch’io sono stato minacciato, ma sapevo a che cosa andavo incontro quando ho accettato l’incarico». Meno ottimista padre Jamil Albert, attivista per i diritti umani, che ha parlato di «fede che dà speranza » ma anche di «riserve sulla legge e sui metodi di amministrare la giustizia». A sua volta, Tahir Chaudhry, presidente dell’Alleanza pachistana per le minoranze, ha confermato che la pressione sui giudici da parte degli estremisti sarà enorme, ma che spera che la Corte suprema ordini il rilascio della donna.   Continuano intanto, all’interno e all’estero le pressioni per l’abrogazione o la modifica della “legge antiblasfemia', in base alla quale è stata arrestata e condannata Asia Bibi. Nel rapporto periodico sul Pakistan pubblicato il 26 agosto e ripreso dall’ agenzia Fides, la Commissione Onu per l’eliminazione della discriminazione razziale ha chiesto a Islamabad di abrogare la legge deplorando «l’elevato numero di casi di blasfemia basati su false accuse e mancanti di relative indagini e azioni penali», mentre «i magistrati che giudicano i casi si trovano a subire intimidazioni e minacce di morte».