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L’odissea senza fine. L’ex legale di Asia Bibi: «Il mondo può salvarla»

Stefano Vecchia venerdì 15 settembre 2017

«La legge antiblasfemia non dovrebbe esistere. E per un semplice motivo: è incompatibile con il rispetto dei diritti umani. Islamabad dovrebbe cancellarla. Al più presto. Essa può costare la vita a un individuo prima ancora che sia preso in custodia dalla polizia. Senza giri di parole: i cristiani sono considerati blasfemi perché non praticano la fede islamica. Per questo ogni insinuazione o accusa sono sufficienti per colpirli. La legge offre loro questa possibilità, questa copertura». A parlare è Sardar Mushtaq Gill, difensore per anni di Asia Bibi, costretto alla fuga all’estero all’inizio del 2017 per il suo impegno contro una legge iniqua e per la battaglia per restituire dignità e libertà alla sua vittima più nota.

Il 9 settembre la cattolica Asia Bibi ha toccato il poco invidiabile traguardo di 3mila giorni passati in carcere. Come vivono lei e la sua famiglia questa prigionia?
Dal sua arresto nel giugno 2009, Asia Bibi si trova in prigione e, da tempo in isolamento nel carcere femminile di Multan. Provvede lei stessa a cucinarsi i pasti per il timore di essere avvelenata. Nonostante sia guardata a vista, vi è il rischio che sia aggredita o uccisa. La sua vulnerabilità è fonte di inquietudine. La sua famiglia vive nascosta per timore che gli estremisti musulmani possano individuarli. Il marito Ashiq Masih non ha una fonte permanente di reddito. Vive nella paura. A lui e alle due figlie, Esham e la più giovane Aisha, è concesso visitare la prigioniera una volta al mese. La richiesta del padre ed di altri familiari per potere visitare la detenuta, che io ho presentato all’Alta Corte di Lahore, è stata accolta ma sono troppo poveri per potersi permettere il lungo viaggio fino a Multan. L’attuale avvocato difensore è un musulmano. Ha il diritto di visitare in carcere la sua assistita, ma ne minimizza le difficoltà.

Quali sono le ragioni dei continui rinvii del giudizio finale della Corte suprema sulla sua condanna a morte per blasfemia?
In Pakistan ci sono tre protagonisti in ambito islamico radicale: organizzazioni terroriste, gruppi jihadisti e gruppi estremisti. Nell’ottobre 2013, 150 esponenti religiosi islamici hanno diffuso un avvertimento scritto al governo pachistano in cui si avvisava che se Asia Bibi fosse stata espatriata in segreto ne avrebbe pagato le conseguenze. Hanno anche minacciato di morte chi difende le persone accusate di blasfemia. Ma non basta. I sostenitori di Mumtaz Husain Qadri, condannato lo scorso anno per aver ucciso il governatore musulmano della provincia del Punjab che aveva tentato di difendere Asia Bibi, circolano indisturbati per strada. E seguono molto da vicino le vicende processuali della donna. Tutto il mondo estremista musulmano del Pakistan sostiene l’accusa di blasfemia contro di lei, è contrario alla sua liberazione e alla eventuale partenza per l’estero. La famiglia non ha, così, alternativa a una vita in clandestinità.

Che cosa l’odissea di Asia Bibi può dirci della situazione dei cristiani e sull’applicazione della “legge antiblasfemia”?
Il sistema legale pachistano è limitato, debole e influenzato da un numero di fattori. In questa situazione, la sopravvivenza dei cristiani in Pakistan è a rischio, giorno dopo giorno. Ricordo che solo per l’anno in corso sono tre i casi registrati contro cristiani per blasfemia. Praticamente per i cristiani non c’è libertà di religione, libertà di espressione, e uguaglianza.

Che tipo di pressioni o di azione può essere esercitata dall’esterno per arrivare a una soluzione del dramma di Asia Bibi?
Una soluzione è la pressione sul governo di Islamabad. L’altra sono manifestazioni all’estero per la sua liberazione. Ancor più importante è che le autorità agiscano in modo attivo per la sua salvezza, come successo in passato per altri incriminati.