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L'analisi. Guerra in Ucraina, anche a Pechino voci per la pace

Agostino Giovagnoli sabato 5 marzo 2022

«Pace, pace – le voci contro la guerra travalicano i confini nazionali e fanno vibrare i cuori». Fra i tanti appelli di questi giorni, ha particolare importanza quello sottoscritto da cinque storici cinesi: Sun Jiang (Università di Nanchino), Wang Lixin (Università di Pechino), Xu Guoqi (Università di Hong Kong), Zhong Weimin (Università Qinghua, Pechino) e Chen Yan (Università Fudan, Shanghai).

L’appello esprime «ferma condanna» della «guerra mossa dalla Russia verso l’Ucraina», profonda partecipazione al dolore delle vittime – «sentiamo come nostre le sofferenze del popolo ucraino» –, deciso sostegno di «ogni azione compiuta dal popolo ucraino in difesa del proprio Paese». Manifesta inoltre costernazione per «l’aggressione violenta ai danni di un Paese fratello tanto più debole condotta dalla Russia...».

È una posizione molto chiara di condanna dell’aggressore. Ma l’appello è altrettanto chiaro nell’invocare la pace, chiedendo «al governo russo e al presidente Putin» di fermare la guerra e risolvere le controversie con un negoziato. Per gli storici cinesi, infatti, questa guerra sta cambiando tutto e può innestare conseguenze ancora più disastrose. «Esprimiamo la più profonda preoccupazione per lo sconvolgimento che l’azione militare russa può portare all’Europa e all’intero ordine mondiale, conducendo a catastrofi umanitarie ancora più ampie».

È un appello significativo di ciò che sta accadendo oggi in Cina. La posizione del governo cinese è più prudente e il suo linguaggio meno netto. Ma la guerra di Vladimir Putin non è la guerra di Xi Jinping. L’astensione all’Assemblea generale dell’Onu sulla mozione contro la Russia mostra la contrarietà cinese a questa guerra. Nei giorni scorsi il “New York Times” ha prima documentato che la diplomazia Usa ha cercato inutilmente di convincere – prove alla mano – che Putin stava per scatenare l’aggressione e poi ha sostenuto che Xi Jinping sapeva dei progetti russi e non avrebbe fatto nulla per fermarli. Gran parte della stampa internazionale propende per la prima ipotesi.

Questa guerra irrita profondamente il governo cinese, che lo ha manifestato più volte. Sembra anche che la diplomazia cinese abbia lavorato, a sua volta inutilmente, perché si arrivasse ad una tregua prima del 4 marzo, giorno dell’apertura delle Paralimpiadi invernali a Pechino.

Ma è difficile che la Cina assuma l’iniziativa di una mediazione tra Russia e Ucraina. L’astensione cinese all’Onu, infatti, non mostra solo calibrata distanza della Cina dalla guerra di Putin ma anche estraneità alle ragioni dell’Occidente. Non è una posizione isolata: si sono astenuti anche altri 34 Paesi, tra cui India, Pakistan, Sudafrica, Arabia. Questo voto ha fotografato la nuova situazione del mondo che emerge dalla guerra in corso, non bipolare – come suggerisce la rappresentazione di una «nuova Guerra fredda» che contrapporrebbe Stati Uniti ed Europa da una parte e Russia e Cina dall’altra – ma quantomeno tripolare e con l’Occidente non più in una posizione dominante. Tra chi non sta né con questo né con Putin, il Paese più importante è proprio la Cina, la cui irritazione verso la guerra in Ucraina non deve ingannare.

Oggi, anche i bambini cinesi ripetono – con inquietante candore – una previsione che sentono fare sempre più spesso dagli adulti: ci sarà la guerra, un’altra guerra molto più grande, quella tra Cina e Stati Uniti e la Cina vincerà. Gli errori commessi da Putin però aprono anche a una prospettiva diversa, seppure più difficile, non di guerra ma di pace, come mostra l’appello degli storici cinesi. C’è una preziosa occasione per impedire che lo scontro in atto apra la strada a un altro ancora più grave e devastante tra Cina e Paesi occidentali.