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Analisi. In un'America sempre più divisa ecco i possibili sfidanti di Biden e Trump

Giorgio Ferrari venerdì 11 novembre 2022

Joe Biden appare su un maxischermo mentro Donald Trump parla a un comizio contro di lui per le elezioni di midterm

«Mi voglio proprio divertire ad assistere al duello Trump-DeSantis», ironizza Joe Biden all’indomani della rimonta democratica. Fingendo forse di ignorare quel fastidioso cicaleggio alle sue spalle. Un borbottio che allude principalmente alla sua età e alle risorse personali di cui dispone. Già circola un hashtag nuovo di zecca coniato da Bernie Sanders: #DontRunJoe, che potremmo tradurre con: «Lascia perdere, Joe».

Alle prossime elezioni presidenziali Joe Biden avrà quasi 82 anni. Donald Trump ne avrà 78. Entrambi, se come pare correranno di nuovo per la Casa Bianca, giungeranno all’appuntamento con gli elettori sulle ali di due differenti fragilità: quella di Trump, che ha perduto la presa sul partito ed è naufragato sugli scogli di una fronda interna al Grand old party e quella di Biden, che nonostante una sconfitta annunciata ma assolutamente lieve rispetto alle previsioni della vigilia ha un bassissimo indice di popolarità e riscuote una modestissima fiducia nel Paese su temi cruciali come l’economia, l’immigrazione, l’inflazione, la sicurezza.

Ma davvero «Sleepy Joe» è l’unico possibile candidato alle presidenziali del 2024? La risposta la forniscono - un po’ a malincuore - gli stessi dem: no, non è l’unico. Una lista di nomi già c’è. Il primo è quello di Kamala Harris. Biden l’ha voluta accanto come vicepresidente scommettendo soprattutto sulle sue inedite credenziali: è donna e non è bianca. Il naufragio è avvenuto subito dopo. Messa all’angolo dall’establishment democratico, relegata ai dossier più spinosi che Biden non aveva intenzione di affrontare di persona (aborto, diritti civili, minoranze etniche, tutti temi cari alla sinistra più radicale dei dem), non è riuscita a conquistare quella popolarità che sperava di ottenere. Il suo nome però ora circola come possibile candidata alla nomination. Con la prospettiva di riuscire laddove nel 2016 Hillary Clinton aveva fallito.

Un secondo promettente candidato è il quarantenne Pete Buttigieg, attuale segretario ai Trasporti, gay con matrimonio civile e due figli, ambientalista, favorevole a una restrizione sul possesso di armi da fuoco. Per molti rappresenta la modernità. Un ticket Harris-Buttigieg secondo alcuni analisti potrebbe funzionare, ma secondo altri Buttigieg è troppo intellettuale e non scalda il cuore dei neri.

Non va scordata anche la cinquantunenne Gretchen Whitmer, detta «Big Gretch», governatrice del Michigan, donna di polso e di legge, balzata alla notorietà nazionale quando un manipolo di suprematisti, i Wolverine Watchmen, aveva progettato di rapirla e ucciderla (complotto sventato in extremis dall’Fbi). Anche lei potrebbe correre per la nomination e avrebbe sicuramente un certo seguito.

Nondimeno nel vasto e sottovalutato vivaio dem ci sono figure che difficilmente porterebbero benefici. A cominciare da Bernie Sanders, che nel 2024 avrebbe 83 anni, ma che capeggiando l’ala più radical dei democratici è il padre putativo di personaggi pur dotati e votati come Alexandria Ocasio-Cortez o come la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren (la prima a proporre l’impeachment per Donald Trump), che tuttavia spopolano prevalentemente sulle due coste e sulla stampa liberal, lasciando piuttosto indifferente l’elettorato del Midwest e del sud. Nel 2024 la Ocasio-Cortez avrebbe appena raggiunto i 35 anni, età minima per poter concorrere alla Casa Bianca.

Di sicuro non correrà invece Michelle Obama, che a molti americani, non solo dem, piacerebbe. Ma la cinquantottenne ex first lady ha capito in tempo che stare al di sopra delle parti le garantisce la stima e la popolarità che si è guadagnata in otto anni Washington. Un privilegio che a detta di molti svanirebbe non appena Michelle si dovesse gettare nella mischia.

Quanto a lui, per la prima volta il corrucciato miliardario di Mar-a-Lago ha dovuto cedere il podio al giovane governatore della Florida Ron De Santis (“Trump with a brain”, Trump con un cervello, già lo chiamano i suoi), astro nascente e capofila di quel “trumpismo senza Trump” che sta guadagnando rapidamente posizioni nel Grand old party nonostante i lunghi artigli del frastornato “The Donald” abbiano fatto approdare al Congresso oltre un centinaio di “deniers”, – i negazionisti della vittoria di Biden. Non fosse che lo stesso De Santis - uomo colto e addottrinato – è una replica certamente meno gangsteristica ma nel profondo non così diversa da quella del suo grande ispiratore. Un ispiratore attorno al quale già si agita quel lezzo di morte (politica, of course) che fa dire a molti: «Donald non è più il candidato che ti fa vincere, ma quello che ti fa perdere».

Ad essere sconfitto in realtà è il futuro. Raramente si era vista un’America profondamente divisa, dilaniata da un rancore sociale, da una periclitante crescita economica, da un divario fra ricchi e poveri che si tocca con mano solo scendendo per le strade e osservando la marea montante di homeless che popola le maggiori città e da un’incertezza sulla propria missione. Invitati più o meno educatamente a cedere il passo, Biden e Trump difficilmente lo faranno. A meno che non ne siano obbligati. Come amava dire Bill Clinton, “It’s democracy, stupid!”.