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L'analisi. Nizza, rivendicazione Daesh con un ritardo «dubbio»

Camil Eid sabato 16 luglio 2016

Una rivendicazione è un marchio di autenticità, un’assunzione di paternità. E un padre non aspetta certamente per lunghe ore per riconoscere se il neonato è suo o meno. Di qui i dubbi sulla rivendicazione della strage di Nizza. Quanto tempo intercorra tra l’attentato e la rivendicazione è comunque una questione che sfugge a regole fisse. Dipende soprattutto dalla rapidità con cui i terroristi riescono a comunicare alla «centrale» del Daesh le informazioni da pubblicare nei comunicati. Quando si tratta di attentati compiuti in Siria, in Iraq o nel Sinai, è questione di poche ore, come dimostrano i comunicati pubblicati ogni giorno secondo un format fisso: un logo del Daesh in alto a destra recante il nome della Wilaya (provincia) interessata, il titolo su un fondo rosso, la data e i dettagli su un fondo blu. Se l’obiettivo colpito è invece occidentale, la rivendicazione potrebbe arrivare velocemente, ma anche nei giorni successivi. Quando Omar Mateen ha compiuto la sua strage a Orlando, il 12 giugno, il gruppo non ha perso tempo e ha assunto la paternità del gesto in poche ore, descrivendo Mateen come un «soldato del Califfato» solo per aver agito dietro ispirazione dei suoi appelli a uccidere occidentali. Lo stesso vale per l’assassinio dei due agenti francesi a Magnanville, il 13 giugno scorso. Anche in quella circostanza Larossi Abballa ha chiesto ai suoi contatti su Facebook Live di comunicare al Daesh che il suo atto rispondeva alla richiesta di uccidere dei civili in Francia, e il gruppo si è «accaparrato» il gesto senza problemi. Altri attentati sono stati rivendicati solo un mese più tardi, come nel Ciad, oppure mai (meglio dire non ancora), come l’attacco del 4 luglio a Medina, in Arabia Saudita, compiuto, secondo la polizia di Riad, da un 26enne saudita «con precedenti di tossicodipendenza». Non è stato rivendicato nemmeno l’attentato dello scorso 28 giugno all’aeroporto turco di Istanbul che ha causato 47 morti e oltre 230 feriti, nonostante l’arresto di sei sospetti «simpatizzanti» del Daesh originari dell’Asia Centrale e del Caucaso. La mancata paternità di quest’ultimo attentato ha sollevato diversi interrogativi. Alcuni analisti fanno notare che il Daesh non ha mai rivendicato i suoi diversi attentati in Turchia (gli altri che portano le sue impronte sono stati compiuti a Diyarbakir e ad Ankara) perché intendeva lanciare un avvertimento al governo turco senza tuttavia arrivare a una dichiarazione di guerra. L’esperto David Thomson fa notare che il Daesh non ha mai rivendicato un attentato in maniera opportunistica, allorché era in grado di farlo. Un esempio di questo tipo è relativo allo schianto dell’aereo Egyptair, inabissatosi nel Mediterraneo lo scorso 19 maggio durante un volo tra Parigi e Il Cairo.