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Ue. La missione Aspides nel Mar Rosso: quanto costa, cosa rischia e perché parte

Francesco Palmas mercoledì 21 febbraio 2024

La fregata tedesca Hessen parteciperà alla missione Aspides con la nave italiana Caio Duilio, una fregata francese e una belga

Quando c’è di mezzo il portafogli anche l’Unione Europea batte tutti i record, varando in tempi insolitamente rapidi la missione Aspides, lo scudo navale ai mercantili in rotta fra Hormuz, il golfo di Aden e Suez. Scopriamo un’Europa inedita, per molti versi cinica. Bruxelles si delinea come potenza marittima, assecondando le linee guida della strategia navale del 2014, aggiornata l’anno scorso e focalizzata dal 2022 anche sull’Oceano indiano e le sue opulenze.

Diversamente dal passato, i Paesi europei entrano in un teatro di guerra per autodifesa, spinti dall’uzzolo di difendere i forzieri, più che per i soliti ideali umanitari. Lo osserva con altre parole l’analista Nicolas Gros-Verheyde. Suona strano che la Grecia abbia il comando della missione: partecipa pure all’operazione statunitense Prosperity Guardian, ambiguamente, e la sua marina non è esente da problemi interni, di soldi in primis. Forse nella scelta europea ha pesato il patto militare Atene-Parigi-Washington, molto influente nelle stanze comunitarie.

Se la greca Larissa fornirà il comando supremo, in mare, il capo delle forze sarà il contrammiraglio italiano Costantino. Anche i francesi avranno la loro poltrona, esprimendo il vice-comandante. Non è detto che accettino in futuro ruoli subalterni; Aspides potrebbe essere rinnovata alla scadenza del primo mandato, perché la crisi si annuncia lunga e gli Houthi annunciano quotidianamente che non demorderanno finché a Gaza sarà guerra. Gli scranni di Aspides potrebbero pertanto ruotare. Si sa per certo che si partirà a breve, dopo i passaggi parlamentari dei paesi partecipanti. Oltre alla nave italiana Caio Duilio, già nel mar Rosso e ammiraglia della missione, saranno in mare una fregata tedesca, una francese e una belga. La Spagna si è sfilata, mentre Olanda e Danimarca, partecipanti a Prosperity Guardian, sono coinvolte dietro le quinte nei raid anglo-americani in Yemen.

Aspides è aperta però ad altri Paesi. Anche arabi? I giordani e i sauditi stanno pagando cara la crisi del mar Rosso, ma sono prudenti per non tradire la causa palestinese e non irritare l’Iran. L’Europa invece ha fretta. La guerra degli Houthi ha fatto crollare del 30% il numero di container che solcano il mar Rosso, colpendo in pieno le tasche continentali, anche se il professore di scienza politica Eugene Gholz osserva per il Cato Institute e per il portale Responsible Statecraft che l’impatto sul commercio globale è tutto sommato infimo. Domanda Gholz se anziché buttare i soldi in missioni militari non sarebbe più saggio e conveniente coprire i costi assicurativi e di viaggio dei mercantili che preferiscono il periplo dell’Africa ai marosi di Bab al-Mandeb.

In effetti urge chiarezza, perché fra Aden e il mar Rosso è guerra: «È la più grande battaglia combattuta dalla marina statunitense dai tempi del secondo conflitto mondiale», dice l’ammiraglio Brad Cooper, citato dall’analista Joseph Trevithik. All’epoca, nel mar Rosso, nemiche dei britannici erano le navi della Regia Marina. Che catarsi. La storia recente dice che, dall’escalation Houthi a novembre, la flotta statunitense ha dovuto sparare un centinaio di missili anti-missile, bruciando con ogni tiro fra i 2 e i 4 milioni di dollari. Un autentico salasso. Solo per muovere i battelli, manutenerli e far volare gli aerei, gli americani hanno già buttato al vento 1,8 miliardi di dollari. Le armi esplose sono a parte e non sempre bloccano la minaccia, come accaduto due giorni fa a un cargo belizano-britannico, il cui equipaggio si è salvato per miracolo, evacuando la nave.

Siccome il budget di Aspides è limitato a 8 milioni di euro, le spese di contrasto alla minaccia saranno scaricate sui Paesi europei che si avventurano in una missione irta di difficoltà: i tempi di reazione concessi ai marinai sono stringatissimi; fra i 9 e i 15 secondi per discriminare la minaccia e 90 secondi fra il lancio del missile e il potenziale bersaglio, tenendo presente che gli attacchi sono complessi, perché abbinano droni aero-navali e missili. Ecco perché, oltre ai radar e ai sonar delle navi, serviranno assetti aerei, che l’Italia e altri potrebbero schierare.

Due anni di guerra navale nel mar Nero insegnano tuttavia che anche gli scudi militari hanno limiti difensivi. Chiedete ai russi che hanno perso per mano ucraina il 30% della loro flotta iniziale, anche se privi delle capacità di intelligence occidentali. Chiediamoci che cosa succederebbe se una nave militare occidentale fosse colpita dai guerriglieri yemeniti. Cambierebbero le regole di ingaggio, con il rischio di un’escalation del conflitto mediorientale, paventata da tutti?

È vero, Aspides sarà meno conveniente dell’idea del professor Gholz, ma opporsi oggi agli Houthi lancia una serie di messaggi per il domani: fa decollare un’Europa potenza in fieri, desiderosa di maggior autonomia dagli Usa, e giova alla deterrenza in altri mari, non meno minacciati del Rosso, vitali per il 90% dei commerci continentali. Bisogna pesare rischi e vantaggi di una missione piena di aspettative ma molto complicata, perché gli Houthi continuano ad attaccare nonostante i raid preventivi anglo-americani. Sono riforniti da un Iran ambiguo, che emana una direttiva di de-escalation ai proxy siro-iracheni ma fomenta uno Yemen fuori controllo anche per sua volontà.