Mondo

Ambiente. La strage silenziosa degli ecologisti: una vittima ogni due giorni

Lucia Capuzzi giovedì 13 luglio 2017

Manifestazione per la morte di Berta Cáceres

La diga sul fiume Gualcarque non si farà. Due giorni fa, la compagnia idroelettrica honduregna Agua Zarca ha annunciato di aver sospeso i lavori come gesto di buona volontà nei confronti dei popoli indigeni che da anni si oppongono al progetto. Tra i tanti che hanno celebrato la notizia, non c’è Berta Cáceres, leader del movimento di protesta contro l’invaso. L’ambientalista, fondatrice del Cívico de organizaciones populares e indígenas de Honduras (Copinh) e premio Golman per la tutela del pianeta, è stata assassinata il 3 marzo 2016. Berta è uno degli almeno duecento ecologisti massacrati l’anno scorso, in media uno ogni due giorni. Un record assoluto, secondo l’Ong Global Witness che, dal 2002, registra la macabra contabilità. A preoccupare è l’incremento della violenza contro chi difende l’ambiente: nel 2015, le vittime erano state 185. Ancora una volta, l’America Latina è il Continente più letale: là è avvenuto il 60 per cento degli assassinii. Buona parte si è concentrata in Brasile, Colombia, Honduras, Nicaragua. Altri Paesi particolarmente rischiosi per gli “attivisti verdi” sono Filippine, India, Repubblica democratica del Congo e Bangladesh. Tutte zone del Sud del mondo ricchissime di risorse naturali. La pressione dei colossi economici multinazionali per accaparrarsele e sfruttarle è feroce. In gioco, c’è un business miliardario. L’unico argine – data la corruzione diffusa nelle istituzioni locali – sono, in genere, gli attivisti locali, in buona parte nativi. Le loro battaglie in difesa di acque, terra e sottosuolo minacciano interessi economici enormi. Da qui la strage silenziosa.