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Siria. "Quando inizierò a vivere?", chiedono i bambini dei campi di Al Hol e Roj

C. Vit. mercoledì 29 settembre 2021

Nel nord est della Siria, 60.000 persone si trovano nei campi di Al Hol e Roj. La stragrande maggioranza sono donne, bambine e bambini. “Quando inizierò a vivere?” chiede Annelise, una bambina di 14 anni che da 12 mesi vive nel campo. Una domanda che ha dato nome all’ultimo report di Save the Children sulle condizioni di Al Hol e Roj. C’è un “urgente bisogno di rimpatriare i bambini intrappolati nei campi”, scrive l'organizzazione in un comunicato stampa, “Le condizioni di vita sono terribili”. Secondo il report, la metà delle persone nei campi ha un’età inferiore ai 12 anni.

Il campo di Al Hol, dove vivono sia le vittime che i parenti dei combattenti del Daesh

Molti li chiamano così: i “bambini dell’Isis”. Le persone che arrivano nel campo di Al Hol hanno due principali provenienze: qualcuno è scappato dalle violenze e dai conflitti causati del Daesh. Altri, donne e bambini, sono arrivati nei campi dopo che le milizie del sedicente stato islamico sono state attaccate da altri contingenti militari, con l’obiettivo di eliminarle.

Sono le mogli e i figli dei miliziani, arrivano da più di 60 Paesi e sono stati trasferiti tra il 2017 e il 2019. “Le donne e i bambini dei campi vengono spesso descritti dai media come aderenti all’ideologia del Daesh. In realtà, le loro storie personali sono molto complesse” scrive Save the Children.

C’è chi è rimasto effettivamente legato al sedicente stato islamico, “un piccolo numero di donne”, che dentro il campo ha deciso di rivestire il ruolo di “polizia morale”: le appartenenti al gruppo puniscono con tutti coloro che violano le loro regole, sino a veri e propri assalti o uccisioni. Ma per tante altre donne la situazione è diversa: alcune sono state violentate da combattenti, e quindi costrette a sposarli; altre hanno subìto lo stessa situazione per “malinteso, circostanza o coercizione”.

In ogni caso, persone che sono scappate e persone che ancora militano per il Daesh si trovano a vivere in uno stesso campo. Si stima che, ad esempio, ci siano ad Al Hol 400 persone Yazide, una minoranza curda del nord dell’Iraq, vittima di quello che molti definiscono un genocidio ad opera del Daesh.

Da gennaio ad agosto 2021, 163 persone sono decedute nel campo, di cui 62 minori. “Ho paura a vivere nel campo” dice un bambino di dieci anni originario della Turchia, “Le persone continuano ad attaccarsi. Minacciano di tagliare teste”. Un bambino di nove anni, che viene dal Tajikistan e che è nel campo da quattro anni, ha detto a Save the Children di avere paura di alcune donne: “Ci chiamano infedeli e non credenti e ci lanciano addosso le pietre”.

Solo il 40% dei minorenni nel campo ha la possibilità di ricevere un’educazione. Per le bambine è molto difficile lasciare la propria tenda, i rischi sono maggiori. Gli educatori di Save the Children che lavorano nel campo vedono i bambini sempre tristi o arrabbiati. È altissimo anche il rischio di incendi.

Rimpatriare i bambini: l’appello di Save the Children

“Come stabilito dai Principi di Parigi in difesa dei Bambini coinvolti con forze armate e gruppi armati, i bambini associati a forze o gruppi armati dovrebbero essere considerati come vittime”, scrive Save the Children, anche quelli costretti a unirsi alle milizie del Daesh. Gli stati di origine dei minori hanno un compito preciso: “Dovrebbero rimpatriare in modo sicuro i bambini e le loro famiglie, in linea con gli impegni presi con la Convenzione sui diritti dell’infanzia dell’Onu e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”.

Secondo il report, sono troppo pochi i governi che stanno agendo in linea con le convenzioni internazionali. Per i piccoli, il rientro deve essere l’opportunità per ritrovare sicurezza e dignità. L’83% dei rimpatri già avvenuti ha avuto come destinazione Uzbekistan, Kosovo, Kazakistan e Russia. Nel 2021, soltanto 14 operazioni di rimpatrio hanno avuto luogo.