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Il giro di vite. Afghanistan, i taleban cacciano le donne anche dalle Ong

Lucia Capuzzi martedì 27 dicembre 2022

Hanno alzato il tiro. Ancora. Quattro giorni dopo aver espulso le donne delle università, il governo taleban ha vietato alle Ong attive in Afghanistan di impiegare personale femminile.

In un editto, emesso alla vigilia di Natale, il ministero dell’Economia ha minacciato di revocare la licenza alle organizzazioni che non rispetteranno il bando. Stavolta, però, gli ex studenti coranici hanno toccato una corda sensibile. Forse troppo. Dal ritorno dei taleban al potere, l’economia afghana si è ridotta di oltre un terzo a causa dell’interruzione del flusso da 3,5 miliardi dollari l’anno di aiuti internazionali. Da questi ultimi dipendeva il 75 per cento della spesa pubblica. Di colpo, dunque, il Paese, già povero, si è trovato al tracollo.

Ormai almeno il 59 per cento della popolazione – quasi 25 milioni di donne e uomini – ha necessità di assistenza umanitaria.

Se l’Afghanistan non è ancora sprofondato nel baratro è solo grazie alle Ong e alle organizzazioni internazionali. Anche una parte importante della base taleban va avanti grazie a loro. Colpire queste ultime, dunque, potrebbe essere un boomerang. Il malcontento sociale, tra regole anacronistiche soprattutto per i giovani e miseria, è già forte.

A Herat, per disperdere una manifestazione di studentesse che protestavano contro il divieto delle donne di frequentare l’Università, le forze di sicurezza hanno utilizzato idranti e cannoni ad acqua. Perfino nella città roccaforte degli estremisti – Kandaharcentinaia di studenti maschi hanno boicottato gli esami di fine semestre all’ateneo di Mirwais Neeka in solidarietà con le compagne cacciate dai banchi. Nel frattempo, gli attacchi dei rivali fondamentalisti – il Daesh-K che considera i taleban troppo “morbidi” – si sono fatti quotidiani. L’ultimo ieri, nella provincia di Badakhshan, ha ucciso tre persone incluso il capo della polizia locale.

Il Paese è una polveriera che la battaglia contro le Ong rischia di far esplodere. Nel giro di 48 ore, sette delle principali Ong – Save the children, Norvegian refugee council, Care international, International rescue committee, Christian aid, Action aid e perfino l’Islamic relief – hanno chiuso i battenti o hanno ridotto le attività al minimo. Altre lo hanno confermato oggi: Azione contro la fame, ad esempio. A meno di un passo indietro degli ex studenti coranici. Il che non è escluso.

Già oggi, nella conferenza stampa convocata per dare maggiori dettagli sull’editto – il quale non specifica se il divieto riguardi tutte le donne o solo le afghane –, potrebbero essere annunciate significative eccezioni.

Prima fra tutte quella per le Ong che si occupano di salute. «Senza le donne non può esserci assistenza sanitaria», ha affermato Medici senza frontire (Msf) dato che le pazienti non possono essere curate da operatori maschi. C’è chi addirittura chi ipotizza un dietrofront totale. Le Ong si stanno battendo per ottenerlo. Ma la resistenza dell’ala dura, guidata dall’emiro Haibatullah Akhundzada, è strenua.