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Afghanistan. La promessa dei taleban al mondo: «Non ci vendicheremo con nessuno»

Luca Geronico mercoledì 18 agosto 2021

Si gira pagina a Kabul, mentre 20 anni di presenza occidentale sfilano mesti sulle piste dell’aeroporto tornato pienamente operativo. A 48 ore dalla presa dei palazzi, la prima conferenza stampa dei taleban: «Dopo 20 anni di lotte abbiamo liberato l’Afghanistan ed espulso gli stranieri», ha dichiarato il portavoce Zabihullah Mujahid davanti alle telecamere.

È il nuovo inizio, simboleggiato plasticamente dall’arrivo un’ora prima della delegazione guidata dal mullah Abdul Ghani Baradar a Kandahar. È il rientro dopo 20 anni nella culla del movimento, dopo aver partecipato ai colloqui di Doha: sarà infatti l’anziano leader appena rientrato in Afghanistan, a quanto si apprende, a dover guidare l’esecutivo provvisorio.

L’Afghanistan, assicurava Mujahid rivolto alla comunità internazionale, non sarà più un campo di battaglia e «abbiamo perdonato tutti coloro che hanno combattuto contro di noi. Non vogliamo nemici esterni o interni», e nessuno dei collaboratori e interpreti che hanno lavorato con forze straniere «saranno trattati con spirito di vendetta», la promessa dei taleban.

L’apertura davanti al mondo è di quelle che vogliono segnare una nuova fase: «Ci impegniamo per i diritti delle donne all’interno della sharia. Lavoreranno fianco a fianco con noi. Non ci saranno discriminazioni» e «nessuno sarà danneggiato» mentre sarà garantita la sicurezza delle ambasciate straniere. Si lavora al dopo, vale a dire a «un governo inclusivo» con l’impegno che l’Afghanistan non sarà più una centrale per la coltivazione e lo smercio della droga: «Nessuno sarà coinvolto in traffico di droga».

Segnali chiari per cercare un riconoscimento internazionale, mentre emergono dettagli sull’avanzata lampo: «Il nostro piano era di fermarci alle porte di Kabul in modo che il processo di transizione potesse essere completato senza intoppi. Ma sfortunatamente il governo precedente era così incompetente e le loro forze dell’ordine non potevano fare nulla per garantire la sicurezza. Dovevamo fare qualcosa», ha concluso Mujahid. La svolta per Mujahid è assicurata: «Il nostro Paese è una nazione musulmana» ma «vi è naturalmente una grande differenza fra noi ora e 20 anni fa».

Alcune ore prima era stato il mullah Yaqoob, figlio del mullah Omar e capo della potente «commissione militare» dei taleban che in un messaggio audio aveva ordinato di non fare irruzione nelle case, «soprattutto a Kabul». Lo stesso Yaqoob durante l’avanzata, aveva chiesto ai combattenti di rispettare le proprietà nelle aree conquistate.

Riaperti intanto i voli, prosegue l’evacuazione di diplomatici e collaboratori afghani, a quanto pare con più ordine. «Sarebbe stato difficile predire il livello di caos e disordini a cui abbiamo assistito», ha dichiarato un portavoce del Pentagono, ammettendo che non era stato previsto «quel livello di panico» mentre il cadavere di un terzo uomo, dopo i due precipitati nel vuoto lumedì, è stato trovato nel vano carrelli di un C-17 Usa.

Tuttavia, ha precisato sempre il Pentagono, all’aeroporto non c’è stata nessuna azione ostile da parte dei taleban. Un gigantesco ponte aereo che proseguirà a lungo: sono 3.300 i cittadini afghani evacuati nelle ultime ore dai militari britannici mentre la situazione ora, ha confermato il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab, «appare più stabile» dopo l’arrivo di «altri militari britannici e americani».

L’obiettivo di Londra e Washington è di evacuare al più presto altre 6.000 persone «via Kabul» ma quando il ponte aereo sarà nel pienamente operativo gli Stati Uniti contano di far uscire dal Paese 9mila persone al giorno con l’obiettivo di terminare il 31 agosto. Anche la Germania ha evacuato circa 120 persone mentre i due aerei tedeschi giunti a Kabul hanno fatto scendere un contingente di militari come anche un primo aereo con diplomatici è decollato per Parigi.

«Terminare» la missione in Afghanistan «non è stato facile: il dilemma era lasciare e vedere i talebani riprendere il controllo o restare in una guerra senza fine. Non volevamo stare in Afghanistan per sempre», ha dichiarato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. «Quello che abbiamo visto nelle ultime settimane è stato un collasso militare e politico non prevedibile. La leadership politica afgana ha fallito nel trovare una soluzione politica e questo fallimento porta alla tragedia a cui stiamo assistendo oggi», ha aggiunto.

A quanto riporta il New York Times l’intelligence americana aveva avvertito il presidente Joe Biden del rischio di «rapido collasso» delle forze militari afghane e il pessimismo era cresciuto dopo gli ultimi report, a luglio. Ma pochi giorni dopo, l’8 luglio, il presidente aveva definito «improbabile» una caduta del governo di Kabul in seguito alla ritirata americana. L’intelligence aveva, inoltre, segnalato come il governo afghano apparisse impreparato ad affrontare l’assalto dei taleban.