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20 anni dopo. Biden: «Addio a Kabul l'11 settembre». Via anche la Nato, Italia compresa

Elena Molinari, New York giovedì 15 aprile 2021

Marines americani in Afghanistan. Venti anni di guerra per uccidere un uomo, come spiega il presidente Joe Biden: «L’obiettivo è stato raggiunto con la morte di Benladen»

La conferma è arrivata ieri sera: Joe Biden ha annunciato il ritiro di tutti i soldati Usa dall’Afghanistan, dopo vent’anni di guerra che non sono riusciti a sradicare dal Paese la minaccia jihadista e il regno dei taleban. «È ora di porre fine alla guerra più lunga d’America. È ora che le truppe americane tornino a casa. L’obiettivo – ha aggiunto – è stato raggiunto con la morte di Benladen», ha detto il presidente, che già dieci anni fa, in veste di vicepresidente, aveva cercato invano di convincere Obama a riportare in patria le truppe.

Il ritiro dei circa 2.500 soldati Usa che restano nel Paese sarà completato entro l’11 settembre, 20esimo anniversario dell’attacco terroristico che ha motivato l’invasione americana dell’Afghanistan. Alla decisione di Biden ha fatto eco la Nato che ieri, al termine di riunione ristretta dei Paesi framework (Usa, Italia, Turchia, Germania) e del Regno Unito, convocata d’urgenza, ha annunciato di voler rimpatriare anche le truppe dell’Alleanza Atlantica dall’Afganistan, inclusa l’Italia, a partire dal primo maggio, con conclusione a settembre. «Abbiamo condiviso la posizione Usa», ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio da Bruxelles.

Non sarà l’unica conseguenza della mossa del capo della Casa Bianca, che viene vista come il più audace annuncio di politica estera dal suo insediamento del 20 gennaio. Se Biden è infatti convinto che non ci sia spazio per nuovi tentativi (finora falliti) di ricostruire l’Afghanistan, e preferisce concentrarsi sulle pressanti questioni interne, la comunità d’intelligence si interroga sui nuovi equilibri che si creeranno nella regione e sui rischi che rappresentano. La fine del coinvolgimento americano, costato la vita a quattromila soldati Usa e contractor e la spesa di oltre 2mila miliardi di dollari, lascia infatti l’Afghanistan sul filo del rasoio. Il governo è piagato da inefficienza e corruzione, e le sue forze di sicurezza, che gli Stati Uniti finanziano e addestrano da anni, si sono finora rivelate incapaci di difendere la popolazione civile dai sanguinosi attacchi dei taleban, intensificatisi negli ultimi mesi. «Se i taleban ci attacheranno risponderenmo», ha ammonito Biden.

La valutazione annuale della minaccia mondiale pubblicata dai capi dell’intelligence Usa ha infatti esplicitamente avvertito che «il governo di Kabul farà molta fatica a tenere a bada i taleban». E proprio ieri il nuovo direttore della Cia, William Burns, ha avvisato che rinunciare a una presenza militare in Afghanistan danneggerà la capacità dell’agenzia di raccogliere informazioni nel Paese.

«La nostra capacità di tenere la minaccia sotto controllo in Afghanistan, che sia di al Qaeda o del Daesh, trae enormi benefici dalla presenza delle truppe nostre e della coalizione sul terreno», ha spiegato l’ambasciatore al Senato. Burns ha comunque assicurato che la Cia manterrà una posizione nella regione tale da poter «anticipare e contrastare ogni tentativo» da parte dei gruppi terroristici di «recuperare la capacità di attaccare obiettivi americani».

La portavoce del presidente Usa ieri ha relativizzato il rischio, sostenendo che non è nell’interesse dei taleban permettere all’Afghanistan di diventare uno Stato “paria”, né di consentire ad al-Qaeda e soprattutto al Daesh di rifugiarsi nel Paese.

«Siamo andati in Afghanistan per un attacco orribile avvenuto 20 anni fa. Questo non spiega perché dovremmo rimanerci nel 2021 – è la posizione illustrata ieri dallo stesso Biden alla nazione –. Non possiamo continuare ad estendere il ciclo sperando di creare le condizioni ideali per il nostro ritiro. Sono il quarto presidente americano a guidare la presenza di truppe americane in Afghanistan, non passerò questa responsabilità ad un quinto».

Nel 2001, George W. Bush inviò in Afghanistan circa mille soldati. Poco dopo, le forze guidate dagli Usa hanno rovesciato il regime taleban, che era al potere dal 1996. Nel 2010, il numero dei militari Usa era salito a 100mila, mentre le truppe straniere avevano superato le 150mila unità. Biden ieri ha comunque assicurato che «il lavoro diplomatico ed umanitario» continuerà. Washington resta infatti impegnata, insieme ad altri 20 Paesi e all’Onu, in una nuova tornata di negoziati con i taleban dal 24 aprile a Istanbul, anche se i ribelli hanno messo in dubbio la loro presenza. L’annuncio dell’addio Usa incondizionato toglie infatti loro un grosso elemento di pressione.

Ma i civili continuano a morire o a restare mutilati​

La strage non si ferma davanti alla politica, alle trattative e ai proclami di vittoria da una parte e di ritiro giocoforza dall’altra. Il, numero di civili uccisi in Afghanistan, 573 soltanto nei primi tre mesi dell’anno, è «profondamente inquietante», come denuncia Deborah Lyons, rappresentante speciale Onu, commentando il nuovo rapporto delle Nazioni Unite.

L’aumento rispetto ai primi tre mesi del 2020 è del 29%, le donne uccise sono il 37% in più, il 22% i bambini. I civili feriti sono oltre 1.200, soprattutto donne e bambini rimasti mutilati, vittime di sparatorie, esplosioni, assassinii mirati. «Imploro le parti perché trovino la strada per porre fine alla violenza», ha detto Lyons. A testimoniare il legame tra la situazione sul terreno e i riverberi sulle trattative, l’aumento del 38% di morti e feriti tra i civili su base annua, con un’impennata tra ottobre 2020 e marzo 2021, cioè dopo l’avvio dei negoziati. A colpire, soprattutto, la frangia locale del Daesh.