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Siria. Il patriarca Younan: «Ad Aleppo è una tragedia»

Mimmo Muolo giovedì 16 aprile 2015
Aleppo sempre più nella morsa della guerra. «La situazione dei cristiani è una catastrofe – afferma il patriarca di Antiochia dei Siri, Ignace Youssef III Younan – e la spirale infernale della violenza non accenna a fermarsi». Younan ieri sera ha partecipato a Roma alla veglia per la pace in Ucraina, Siria e in tutti i Paesi tormentati dalle persecuzioni e dalla guerra, organizzata dalle comunità ucraina di rito bizantino e sirioantiochena della capitale, in collaborazione con il Vicariato.  E il suo è in pratica un grido di dolore. «Siamo angosciati specialmente per Aleppo – spiega –, la seconda grande città della Siria, che era un esempio di convivenza interreligiosa e che oggi rischia di morire sotto gli attacchi. Pensavamo che Staffan de Mistura avrebbe potuto convincere le parti a cessare il fuoco ma questo non è accaduto e i nostri cristiani continuano a soffrire. La situazione è tragica. Sono stato recentemente in Siria, dove ho visitato 12 parrocchie e ho visto la gente comune, sia i cristiani sia i musulmani, vogliono che la strage finisca al più presto». Come si è giunti a questa situazione? In Siria c’è un governo finora riconosciuto dalla comunità internazionale, che non si può mettere sullo stesso piano dei ribelli. Purtroppo, però, l’Occidente – specie Usa, Francia e Gran Bretagna – non vogliono capire qual è il vero problema: e cioè che la maggioranza sunnita non accetta le diverse minoranze. Il Papa ha ripetutamente invitato la comunità internazionale a non volgere lo sguardo da un’altra parte rispetto alla tragedia dei cristiani in Medio Oriente. Secondo lei che cosa si deve fare concretamente? Magari un intervento dei caschi blu? Non è questione né di caschi blu, né di eserciti, né di attacchi aerei. L’Occidente onestamente deve chiedersi: vogliamo veramente mettere fine a questa tragedia? Se davvero lo vogliamo, bisogna smetterla di inviare le armi. Inoltre bisogna controllare le frontiere per non permettere la circolazione degli jihadisti, che arrivano fin dall’Indonesia e dalla Nigeria. Purtroppo l’Occidente ha anche la sua convenienza economica in questa guerra, perché qualcuno ha pensato di poter risolvere almeno in parte il problema della crisi vendendo armi ai combattenti. E nei confronti del cosiddetto Stato Islamico quale strategia bisogna adottare? Con lo Stato islamico non si può discutere. Ma il problema dell’Is si potrebbe risolvere in breve tempo se esso non fosse sostenuto militarmente da alcuni Paesi della regione, come la Turchia, l’Arabia Saudita e il Qatar, con il tacito placet dell’Occidente. Se si smettesse di mandare le armi e se si controllassero meglio le frontiere, l’Is avrebbe i giorni contati. Lei ha citato la Turchia. Come giudica la violenta reazione turca alle parole del Papa sul genocidio armeno? Domenica scorsa ero alla Santa Messa e ho concelebrato per ricordare la tragedia dei nostri fratelli armeni, che ha toccato da vicino anche i Siri, sia cattolici che ortodossi. Il genocidio c’è stato. Se i turchi non lo vogliono riconoscere, è un problema loro. Certo, sono liberi di reagire, ma questa è la verità e noi non dobbiamo avere paura della loro reazione. Piuttosto dovremmo cominciare a chiederci: come mai in Turchia, dove il cristianesimo ha avuto i suoi primi sviluppi storici, sono rimasti solo 50mila cristiani su 80 milioni di abitanti? Come mai nessuno dei cinque patriarchi titolari di Antiochia, tre cattolici e due ortodossi, nessuno risiede più da tempo in quella città? Io stesso sono figlio di profughi. Mia madre e mio padre lasciarono la Turchia quando erano bambini. Di fronte a certe cose dobbiamo essere fermi e forti. Il 'dobbiamo' a chi si riferisce in particolare? Penso all’Unione europea in particolare. Se l’Ue resta unita, se riscopre la sua identità culturale e non si lascia condizionare dagli Stati Uniti o dalla paura delle reazioni russe, che cosa può fare la Turchia? Sono loro che hanno bisogno dell’Europa non viceversa. Purtroppo, però, spesso l’Occidente è ostaggio di una certa pusillanimità che si riflette nella mentalità del politically correct. Invece l’Ue può dare un grande contributo a risolvere la questione mediorientale.