Giovani

Giovani e Vescovi . Intercultura, parlano i ragazzi: accogliendo cambieremo in meglo

Chiara Vitali venerdì 6 maggio 2022

I giovani che partecipano al progetto "Giovani e Vescovi"

Sei mesi di percorso alle spalle, ma non è finita. Anzi: l’impressione è che sono state appena gettate le basi, e che ora si tratti di costruire. Il progetto «Giovani e Vescovi» voluto dalla Conferenza episcopale lombarda, e sul quale questa pagina mensile fa il punto, ha preso le mosse dall’incontro il 6 novembre scorso di 200 ragazzi tra i 20 e i 30 anni dalle 10 diocesi della regione con i 14 vescovi delle Chiese lombarde, su 5 temi (vocazione e lavoro, riti, intercultura, ecologia e affetti) individuati da Odielle, la struttura di coordinamento degli oratori in Lombardia sotto la direzione di don Stefani Guidi. I contenuti – ricchissimi – e soprattutto il metodo – innovativo e assai apprezzato – dell’ascolto reciproco tra vescovi e giovani ha indicato la strada: per rendere la Chiesa lievito di una società in rapidissimo cambiamento è indispensabile la voce viva dei giovani. Eccola. (Francesco Ognibene)

«La nostra società è multiculturale ma non è ancora interculturale, perché spesso manca un incontro autentico tra le culture» dice Kossi Felix Awoudor, 26 anni, ingegnere biomedico che partecipa al percorso «Giovani e Vescovi» per il tema dell’Intercultura. Felix è nato in Togo ed è arrivato in Italia a 12 anni: «La mia vita – ha raccontato nell’evento di lancio del progetto regionale il 6 novembre 2021 – è un esempio di intercultura: ogni giorno porto con me le identità dei due Paesi». Come lui, anche altri giovani hanno raccontato ai vescovi le loro esperienze personali. «Vengo dallo Sri Lanka e in Italia ho subìto bullismo per le mie origini. A volte mi sento straniero sia qui che lì, ma allo stesso tempo sono più ricco perché ho due vasi culturali a cui attingere» ha detto un altro dei partecipanti. I dialoghi sull’Intercultura hanno lasciato spunti che servono a tracciare alcune caratteristiche di un fenomeno che sta già cambiando le realtà territoriali. «La multiculturalità oggi è un dato di fatto – dicono i giovani –. I bambini la vivono già a partire dalla scuola materna, e anche per gli adolescenti è quotidianità. Accettarla è forse più difficile per gli adulti, cresciuti in un tempo diverso». Proprio per questo, proseguono i partecipanti, «i giovani hanno il compito di creare un ponte tra le generazioni più anziane e una società che cambia velocemente».

Una sfida accomuna tutti: trasformare la convivenza di diverse culture in un vero scambio. Ne è convinto Edoardo Viola, 28 anni, assessore ai Servizi sociali a Casaletto Vaprio (Cremona) e impegnato con la Carichi tas diocesana nell’accoglienza di richiedenti asilo. Per lui l’intercultura «è una vera e propria politica che tutti possiamo scegliere e che consiste nel trovare punti di dialogo tra culture differenti ed evitare che vivano isolate tra loro». Allo stesso tempo, «creare un ambiente interculturale è un impegno complesso, non va banalizzato». Una delle sfide maggiori che incontra nel suo lavoro con i richiedenti asilo è far comprendere a è appena arrivato dove si trova e quali sono le regole, fondamentale per vivere nel rispetto reciproco».

Durante i dialoghi in Duomo la parola 'Intercultura' si è associata anche a 'Migrazioni' e 'Accoglienza'. In tutte queste dimensioni, dicono i giovani, «è fondamentale puntare sulla formazione, per uscire da una logica emergenziale e passare a una visione a lungo termine. È necessario progettare azioni interculturali». I giovani provano a elencarle: corsi di alfabetizzazione, scambi culinari e musicali, occasioni informali in cui «creare relazioni umane reciproche». Tutte proposte realizzabili a partire dai contesti territoriali di ciascuno, dentro la Chiesa. «Sarebbe interessante organizzare celebrazioni eucaristiche in altre lingue, mi piacerebbe vedere il mio parroco che parla con il rabbino o con l’imam, come segno di ascolto reciproco» dice una delle presenti. E poi le esperienze all’estero: «Sono utili – dicono i giovani – per sperimentare che cosa può significare sentirsi straniero».

Nei dialoghi trovano spazio anche le esperienze positive già presenti. Francesca Brusa, logopedista di Bergamo e volontaria per il suo oratorio, racconta la sua: «Vivo in un quartiere con una forte valenza interculturale, la presenza di stranieri è altissima. Alle nostre attività arrivano tanti ragazzi musulmani, ci siamo organizzati per accoglierli». Ad esempio? «Durante il centro estivo hanno il loro menù, e quando facciamo la preghiera del mattino semplicemente ascoltano, senza partecipare. Poi dicono una loro preghiera e ci spiegano il significato: il risultato è una grande clima di fraternità». La sfida interculturale rimane aperta, qualche strada è già tracciata.