Famiglia

Congedi parentali. Papà a casa con i figli, siamo ultimi in Europa

Annalisa Guglielmino domenica 31 ottobre 2021

Tre mesi di congedo retribuito per i neo papà. Non è un’utopia: con i 90 giorni previsti dal disegno di legge sull’assegno universale e le misure a sostegno della famiglia, il Family Act, i papà italiani staranno a casa con i loro figli più di quelli di Francia, Belgio, Regno Unito, Irlanda e Svizzera. Lentamente, i tempi cambiano e l’Italia cerca di scrollarsi il retaggio del passato, puntare agli standard europei, secondo cui alla nascita di un figlio entrambi i genitori hanno diritto ad almeno quattro mesi di congedo ciascuno, e scalare posizioni, dall’ultima, nella parità di genere. Lontana da Spagna, Germania e Svezia che seguono le linee guida europee e assicurano equità di trattamento.

La prospettiva è ambiziosa: al confronto, sembrano preistoria i giorni in cui un uomo doveva correre via su due piedi dal lavoro se giungeva l’attesa chiamata dalla sala parto, e prendere ferie per potere stare accanto ai figli nell’immediato, e in momenti successivi. Con tutto l’onere dell’accudimento sulla neo mamma. Eppure era solo dieci anni fa. Oggi ai neo papà toccano dieci giorni di congedo parentale. Nel 2017 la Legge Fornero di Riforma del Mercato del lavoro introduceva per la prima volta il cosiddetto 'congedo papà', consistente nell’obbligo, per il lavoratore padre, di fruire di due giorni di assenza retribuita, anche in modo non continuativo, entro cinque mesi dalla nascita del figlio. Nel 2018 l congedo obbligatorio è diventato di quattro giornate, con la possibilità di godere di altre due giornate di assenza facoltative, fruibili in alternativa all’astensione della madre lavoratrice. Ben poca cosa. Ora anche per l’Italia arriva la svolta, e la speranza per tanti genitori, secondo l’annuncio del ministro per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti. Aumentati nel 2021 da 3 a 10 i giorni obbligatori di paternità, a partire dal 2022 questi potrebbero salire gradualmente da 10 a 90, secondo le disposizioni introdotte nel disegno di legge ormai vicino all’approvazione in Parlamento.

Il Family Act ha come scopo finale quello di ridurre il "gender gap" sui luoghi di lavoro, ovvero di «equiparare le posizioni di madri e padri sul piano dei costi sostenuti dai datori di lavoro a fronte delle nuove nascite» spiegano i legali di Daverio&Florio, studio che in Italia rappresenta Innangard, il network internazionale specializzato in diritto del lavoro. L’aumento del congedo a 90 giorni per i papà ridurrebbe il gap con la Spagna (fino a 112 giorni per entrambi), la Svezia (480 giorni da dividere tra i due genitori), e la Germania (fino a 1.095 giorni per tutti e due), nazioni 'virtuose' che fissano per madri e padri gli stessi diritti sul periodo di congedo in conformità con le linee guida europee.

La parità è ancora sfuggente, in Italia come in altri Paesi: in Belgio i giorni di congedo per i neo papà sono 15, in Irlanda e Regno Unito sono 10 e in Svizzera 14. In Francia i giorni sono recentemente aumentati a 25, ma ancora non raggiungono il livello del congedo per le madri.

«L’Italia sta facendo passi da gigante nel processo di equiparazione dei diritti dei lavoratori. Prima con l’allungamento della paternità a 10 giorni obbligatori e adesso con questa nuova misura del Family Act, anche se aspettiamo di capire se sarà approvata integralmente. Non dobbiamo sottovalutare il costo dell’intera operazione che difatti, come ha specificato la ministra Bonetti, sarà graduale, ma è pur vero che questo è il momento di fare scelte coraggiose in linea con gli standard europei, in quanto possiamo contare sul sostanzioso aiuto del Pnrr», ha commentato Bernardina Calafiori, socio fondatore dello studio legale. Daverio&Florio ha anche confrontato le politiche per la famiglia negli altri Paesi

È la Spagna ad avere avuto il merito, nel 2021, di accorciare le distanze di trattamento tra lavoratrici e lavoratori con figli. Dal 1° gennaio, il congedo parentale spagnolo è stato fissato per entrambi i genitori fino a 16 settimane (112 giorni), retribuite al 100%.

I Paesi scandinavi prevedono da anni la parità nei congedi concessi: la Svezia ne è un esempio. Qui, alla nascita del figlio entrambi i genitori hanno diritto a spartirsi 480 giorni, di cui 60 obbligatori per uno dei due e i restanti 420 divisi liberamente nella coppia, remunerati all’80% del salario. Anche in Germania vige la parità di trattamento tra madre e padre: entrambi quando hanno un figlio possono lasciare il lavoro per un massimo di 3 anni (1.095 giorni), durante i quali ricevono un’indennità parentale dallo Stato, per un massimo di 14 mesi combinati tra i due, equivalente a circa il 67% del proprio stipendio netto con un minimo di 300 e un massimo di 1.800 euro al mese.

È tempo di novità anche in Francia, dove dal 1° luglio il congedo di paternità è aumentato da 11 (18 in caso di nascite multiple) a 25 giorni (32 per nascite multiple) in totale, di cui 4 giorni sono obbligatori, con retribuzione scalata secondo il tipo di contratto del lavoratore. Nei Paesi Bassi alla nascita di un figlio il padre riceve un congedo pagato di 1 settimana e non pagato di 5 settimane (35 giorni) da prendere entro i primi 6 mesi post parto.

Infine, in Belgio, ai papà spettano 15 giorni di congedo da prendere entro 4 mesi dal giorno della nascita del figlio, in Irlanda e Regno Unito il congedo obbligatorio equivale a 10 giorni lavorativi, mentre in Svizzera, il congedo introdotto solo nel 2021 equivale a 14 giorni, pagati all’80%, da prendere entro 6 mesi dalla nascita. Ogni Paese poi differenzia a seconda dei casi. In Irlanda, per esempio, si distingue tra maternità/paternità prima e subito dopo la nascita e congedo parentale successivo, concesso fino a un massimo di 5 settimane (25 giorni) pagato per ogni genitore durante i primi due anni di vita del bambino o, in caso di adozione, entro due anni. In Regno Unito invece il padre può ottenere, in aggiunta ai 10 previsti, altri giorni di congedo presi da quelli spettanti in origine alla madre.

L’Italia ora faccia il suo passo verso politiche più inclusive e paritarie in ambito occupazionale.