Famiglia

19 marzo. Padri, buoni propositi oltre la festa

Luciano Moia domenica 17 marzo 2024

Martedì, memoria di san Giuseppe, è anche per tradizione la festa del papà (anche se per semplificare la festa per tutti sarà oggi). Qualcuno si è chiesto cosa ci sarà mai da festeggiare in una società come la nostra che da molti decenni tenta di estromettere i codici paterni dalla cultura e dalla famiglia, di ridurli a semplici impulsi affettivi, cancellando tutti i processi di identificazione e di trasmissione normativa che il padre incarna, o dovrebbe incarnare, secondo una prospettiva ragionevole, equilibrata e “naturale”, dove le virgolette servono a sottolineare il rischio e l’ambivalenza di evocare la natura.

Osservazione in parte condivisibile, ma che dovremmo cercare di superare con una proposta originale. Nella fatica di staccarci dall’immaginario e dalla sostanza del padre padrone, del padre che non deve chiedere mai, dal padre che si illude di aver pieni diritti sui figli e sulla madre dei suoi figli, ci siamo costruiti una figura eterea, evanescente, più attenta a strappare la benevolenza dei figli che a costruirne il bene autentico, colma di quel tenerume che non giova né alla relazione di coppia né alla crescita dei piccoli. E ora, a metà del guado, incerti tra un passato che vorremmo superare e un presente di cui vediamo tutti i limiti, incapaci di tratteggiare una prospettiva nuova, che da una parte rifiuti la tradizione del padre giudice supremo, con la deriva della violenza di genere, dall’altra prenda le distanze dall’insignificanza del “mammo”, ci accontentiamo di evocare la crisi della paternità senza sforzarci di guardare oltre.

Siamo stanchi di questa lamentazione sociologica ormai diventata un luogo comune. La festa del papà sia piuttosto l’occasione per riflettere sul modo in cui, noi uomini, facciamo i genitori e su come riusciamo o meno ad essere credibili agli occhi dei figli. Impresa difficile, lo sappiamo. Per essere credibili come padri sono necessarie tutta una serie di virtù – pazienza, equilibrio, impegno, attenzione, prudenza, serenità, spirito di sacrificio, autorevolezza, lungimiranza – che appaiono sempre più spesso fuori mercato. Non hanno prezzo perché non si possono acquistare. Bisogna coltivarle dentro sé stessi e non si può farlo da soli. Un buon padre è tale se accanto lui c’è una buona madre. In famiglia non ci può essere - non ci dovrebbe essere - un uomo solo al comando, come neppure una donna sola. E, quando si rimane soli – per necessità, per scelta, perché la vita ha preso quella piega anche contro la nostra volontà – le difficoltà si moltiplicano e le conseguenze negative ricadono sulla testa di tutti, a cominciare dai figli. Il frutto dell’esclusione simbolica del padre è quotidianamente davanti ai nostri occhi.

In base ai dati forniti dalle ricerche e dai censimenti americani, il 90% di tutti gli homeless e dei figli fuggiti da casa non aveva un padre in famiglia. I figli cresciuti senza padre hanno più del doppio di possibilità di essere coinvolti in episodi di aggressività criminale. Il 72% degli adolescenti omicidi, il 60% degli stupratori e il 70% dei detenuti con lunghe condanne da scontare provenivano da famiglie dove non c’era il padre. Lo scrive Lorenzo Rizzi, pediatra ed esperto di educazione al maschile, in un libro pubblicato di recente che vale la pena di prendere in mano in una giornata come questa. Si intitola Ce la caveremo vero papa? Sì, ce la caveremo (Cantagalli) e ci fa capire, tra l’altro, perché ha poco senso parlare di paternità in crisi. La crisi, semmai, tocca l’intera famiglia, il modo stesso di vivere le relazioni, a cominciare da quelle più importanti.

«Nella natura umana – scrive Rizzi - tutta la declinazione maschile è coordinata nell’apertura verso quella femminile come paternità potenziale e, viceversa, quella femminile è coordinata alla maternità potenziale». L’abbraccio tra maschile e femminile, insomma, è la chiave di volta per comprendere il passato e il futuro di ciascuno di noi. Quindi, se di crisi si tratta, uomini e donne, padri e madri, insieme devono ridefinire il loro rapporto. C’è una piccola strategia per farlo. Una parola che sintetizza questo impegno e si chiama reciprocità. Come possiamo tradurla? Scambio vicendevole, rapporto ricco di attenzioni e di rispetto, complicità, vicinanza, amicizia, desiderio di guardare avanti e di progettare insieme. Non è facile certo vivere concretamente tutte queste attenzioni, ma almeno se le teniamo presenti avremo fatto un piccolo passo avanti per essere padri “nuovi” - al di là della crisi- e forse migliori. Accanto a madri che lo saranno altrettanto.