Famiglia

Educazione. «Nonno, spiegami perché c'è la guerra»: la memoria da custodire

Luciano Tosco mercoledì 6 marzo 2024
“Nonno, perché c’è la guerra dove è nato Gesù?”. Ai misteri del male che porta sofferenza e del bene attraverso la redenzione della Croce, evocati dalla semplicità profonda del pensiero bambino, si addice, innanzitutto, il silenzio. Poi, di fronte all’inadeguatezza delle discipline e scienze storiche e umane ad offrire risposte autentiche, nonché comprensibili alla ragione di una bambina dell’età di Agnese, il nonno ha provato a spiegarle che Gesù è accanto ad ogni uomo che soffre per il dolore del male; lui che lo ha provato e attraversato, vincendolo.

Il nonno ha ricordato alla bimba la continua, isolata, ma potente, denuncia di Papa Francesco sulla “ terza guerra mondiale a pezzi” e con l’aiuto del contributo di Giuseppe Casale sull’”Agenzia di informazione Vaticana”, dopo aver recuperato in soffitta un vecchio atlante dei miei tempi di scuola, ho ripercorso con la mia nipotina i luoghi dove Gesù è più presente. Una trentina di Stati africani le cui popolazioni sono tragicamente coinvolte in lotte interne di potere con golpe militari e guerre contro gruppi jiadisti. In particolare il Darfur con la guerriglia che causa la migrazione di massa in Ciad; il poverissimo Sud Sudan e le lotte tribali; la Nigeria con il terrorismo, gli assassini di innocenti, gli stupri del Boko Haram. E poi l’Etiopia con i separatisti che prolungano con il governo una guerra che ha già causato oltre 500.000 morti e due milioni di sfollati. E ancora il Congo, in piena emergenza umanitaria, con la presenza di un centinaio di milizie irregolari che proseguono il così detto “olocausto nero” a cavallo dei due secoli che ha causato cinque milioni di vittime.

Ho fatto inopportuna “propaganda politica” dicendo ad Agnese che su queste tragedie c’è la connivenza e addirittura il concorso delle grandi potenze, in particolare Russia e Cina, nella sfida per l’accaparramento delle miniere di metalli preziosi per le attuali e future tecnologie (litio ecc.), compresi smartphone e tablet che lei molto ben conosce? Direi di no. Siamo poi andati nelle Americhe centrale e del sud in una decina di Stati i cui governi sono in armi contro una quarantina di cartelli del narcotraffico, soffermandoci particolarmente in Ecuador. Quindi, ritornati nelle più vicine Siria, Libano, Curdistan siamo passati dal medio oriente in Asia che annovera una trentina di Stati e circa 500 gruppi non “regolari” in conflitto.
In questo giro del mondo “in fiamme” l’Occidente europeo e anglosassone assomiglia ad un “fort Alamo” prossimo a cadere. Al punto che il nostro Ministro della Difesa prospetta, in una recente intervista, la necessità di organizzare il reclutamento di “riservisti”, da impiegare in caso di necessità. Lanciamo allora uno sguardo alla vicina Ucraina, passando dalla “polveriera” ex iugoslava sotto le cui ceneri si sta riaccendendo il fuoco della tensione tra Serbia e Kossovo, favorita dalla Russia. E terminiamo con una escursione sul Mar Rosso dove i ribelli iemeniti, attaccando le navi, bloccano le vie strategiche di passaggio dei commerci con evidenti danni per l’economia europea e occidentale.
Agnese è interessata, anche sorpresa per la stupidità umana e pure indignata. Ma come ogni bambino che è abbracciato alla vita, sente il bisogno di “staccare” dal dolore, mi annuncia che adesso andrà ad allenarsi in cortile, con la sorella, a pallavolo.
Intanto l’anziano nonno continua a pensare come tutte queste tragedie siano rimosse o autocensurate dalla maggior parte dei media, che parlano e certo a ragione, ma quasi esclusivamente, di Ucraina/Russia e Israele/Palestina perché tutte le altre sono lontane o comunque non di minaccia per la nostra immediata sicurezza e interessi.
E invece si tratta di un puzzle della violenza le cui tessere si combinano sempre più in un unico quadro. I conflitti sono sempre meno circoscritti, ma interdipendenti e propagantisi a macchia d’olio, con una universalizzazione del terrore, insieme alla lotta per l’egemonia economico-commerciale di un mondo globalizzato.

Non solo, ma sono “saltate” tutte le convenzioni delle guerre “tradizionali” con regole comuni “di ingaggio”. È stato coniato il neologismo di “conflitti ibridi” in cui coesistono forme di pressione economica, propagandistica, attacchi terroristici e di gruppi criminali, sabotaggi cibernetici, distruzioni di ospedali, ambulanze e altri presidi e strumenti di soccorso; bombardamenti non a obiettivi strategici, ma stragi in luoghi civili con tanti bambini morti; blocco dei collegamenti e degli aiuti umanitari.
Dobbiamo preoccuparci solo dei conflitti vicini a casa nostra e/o di minaccia per la nostra sicurezza e sviluppo?

La risposta è “no”, come ammoniva ai tempi dei genocidi nazifascisti, il pastore protestante Martin Niemoller in un suo famoso sermone: “Quando i nazisti presero i comunisti io non dissi nulla perché non ero comunista.....Poi presero gli Ebrei e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero a prendere me. E non c’era più nessuno rimasto che potesse dire qualcosa”.
I cittadini tedeschi che abitavano nei pressi del campi di concentramento non potevano non immaginare cosa succedesse lì dentro; in fondo la cosa non li riguardava direttamente nell’immediato, ma li ha, alla fine, travolti.
Anche oggi rischiamo di essere indifferenti oppure rimuovere, perché impotenti o terrorizzati al punto da renderlo impensabile, il “male assoluto” che diventa alla fine la “banalità del male” di Hanna Arend che conduce i carnefici e gli indifferenti a autoassolversi. Per non finire distrutti da questa “terza guerra mondiale” in atto penso sia doveroso e necessario ascoltare l’ammonimento di Martin Luther King: “Può darsi non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate. Ma lo diventerete se non farete nulla per cambiarla”.

Certo è comprensibile il sentimento di impotenza con le diverse reazioni di rimozione, negazione, desiderio di evasione, fino all’indifferenza. Ma occorre non cedere, bensì continuare ad indignarsi, parlare e discutere in ogni luogo e occasione di questa “terza guerra mondiale” sempre meno “a pezzi”.
E insieme a questa sensibilità “globale”, occorre anche agire concretamente nel “locale” della quotidianità, rifuggendo, non a parole, ma nei fatti e comportamenti, ogni forma di prevaricazione e violenza, anche verbale, che si sta invece diffondendo anche nella nostra nazione, pur ancora non in guerra.

Ciò con la coscienza che come nonni in primo luogo, perché depositari della memoria e del ricordo, ma anche genitori, adulti tutti, abbiamo il dovere non solo delle parole, ma soprattutto della testimonianza diretta e personale all’ascolto delle ragioni dell’altro pur senza rinunciare alle nostre; alla cooperazione e alla fatica della mediazione. Lo dobbiamo ai nostri figli, ai nostri nipoti, alle nuove generazioni a partire dai più piccoli, perché è con la testimonianza e l’esempio che si insegna e si contribuisce a diffondere il gusto e la pratica della pace.