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Modelli sociali. Quel dono che fa stare bene: così un gesto crea un legame

Giovanna Sciacchitano mercoledì 7 dicembre 2022

C’è un giorno dell’anno che capovolge le comuni logiche consumistiche condensate nel famigerato Black Friday che ci siamo lasciati alle spalle: la giornata mondiale del dono. Il 29 novembre è stato celebrato nelle famiglie, nelle scuole, negli uffici, nelle piazze e nei social network di oltre 80 Paesi del mondo, coinvolgendo milioni di cittadini. « L’appuntamento del Giving Tuesday è particolarmente importante perché sensibilizza su un tema strettamente legato alla felicità – spiega Valerio Melandri, direttore del Master in Fundraising per il non profit dell’Università di Bologna-Campus di Forlì –. Molti pensano che nell’acquisto si trovi la felicità, che la soddisfazione derivi da quante risorse si possiedono, ma questa è un’idea errata che abbiamo ereditato dall’utilitarismo di Jeremy Bentham. In realtà, la felicità si trova nelle relazioni e il dono attiva proprio una relazione. Una cosa è la funzione dell’utilità, che è pure importante, un’altra è quella della felicità. Fare un’offerta è l’alternativa sana al consumismo. Il dono in sé non è una transazione commerciale, ma una trasformazione personale. Chi dona allaccia un legame e chi riceve restituisce a qualcun altro in modo diverso ».

In sintonia Stefano Malfatti, responsabile fundraising e comunicazione dell’Istituto Serafico di Assisi e presidente del Festival del Fundraising: « Le persone donano perché hanno un trasporto emotivo verso un bisogno che arriva da una richiesta, ma il vero valore del dono sta nella relazione che si crea. Il dono spariglia le carte, è la chiave risolutiva di tante problematiche e può tradursi anche in tempo e competenze messe a disposizione». Come diceva Madre Teresa di Calcutta, “non è tanto quello che diamo, ma quanto amore mettiamo nel dare”». Paradossalmente anche in un mondo perfetto ed equo ci sarebbe bisogno del dono per stringere relazioni più profonde e autentiche. Le donazioni, che raccolgono in un anno in Italia circa sette miliardi di euro non si prefiggono di cambiare radicalmente l’economia, ma di incidere sulla vita di una fetta importante di popolazione. «Non dobbiamo pensare che si doni per fare un atto di beneficenza – evidenzia Giancarla Pancione, direttrice marketing e fundraising di Save the Children –. In definitiva si dona per stare meglio. Fare un’elargizione significa condividere un sogno e realizzarlo insieme. È un atto che dà la possibilità, per esempio, di mandare i bambini a scuola, di costruire una clinica per mamme e figli. Molte persone non hanno tempo per impegnarsi nel sociale e fare una donazione è un modo alternativo per aprirsi agli altri».

Donare è anche una questione di educazione, per questo è necessario cominciare a parlarne ai più piccoli, come spiega Melandri che ha in cantiere un libro sull’argomento. È anche un habitus mentale, basti pensare al fatto che le persone religiose sono più portate alle donazioni di quelle che non lo sono. Negli anni le donazioni sono cambiate, si sono moltiplicate le cause e gli enti no profit impegnati. «Fino a ieri le donazioni erano fatte a coloro che avevano una maggiore visibilità – sottolinea Melandri –. Oggi occorre conoscere bene il donatore, si creano banche dati e si vanno a fare le domande giuste. Gli strumenti di una moderna comunicazione integrata prevedono il mass marketing con la telefonata e la lettera classica, blog, email e un sito ben costruito». Pancione d’altra parte osserva che gli italiani sono molto altruisti rispetto agli altri Paesi: « Molte persone sono consapevoli del fatto di essere nate dalla parte giusta del mondo e di dover restituire qualcosa – riflette –. Sempre più spesso vengono fatte donazioni regolari per sostenere un progetto e le forme sono sempre più diverse. Per dare slancio al terzo settore sarebbe forse necessario un lavoro di rete con la società civile e le istituzioni e magari prevedere detrazioni totali per le donazioni».

L’impatto della crisi, poi, non sembra essere troppo negativo sul fundraising. «Si potrebbe dire che l’80% delle donazioni proviene da un 20% di persone che non risente degli effetti negativi dell’economia. L’indicatore economico delle donazioni è un indicatore latente – continua Melandri –. Se l’aumento delle richieste è supportato dai media ci sarà inevitabilmente un aumento delle donazioni, come è avvenuto durante la pandemia di Covid 19». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Pancione: «Con la crisi si fa più fatica a donare, ma in molti pensano che c’è chi sta peggio di noi e dona comunque, anche a costo di sacrifici. Ho conosciuto recentemente un donatore che aveva perso il lavoro e che comunque non ha interrotto l’adozione a distanza preferendo rinunciare alla pizza con gli amici». Che gli italiani abbiano un cuore grande lo certifica anche l’attitudine verso i lasciti testamentari. Continua, infatti, ad aumentare il numero di persone che hanno già predisposto un lascito testamentario o sono orientate a farlo. Secondo il Comitato Testamento solidale, il 22% tra gli ultracinquantenni lo scorso anno rispetto al 12% nel 2018. Mentre gli italiani decisamente contrari sono passati dal 44% al 28% nello stesso arco di tempo. « Il tema del lascito testamentario è un dono immaginato addirittura per quando non ci saremo più – sottolinea Malfatti –. Quindi ci dev’essere un legame ancora più grande con l’organizzazione non profit. In Italia c’è qualche problema culturale che ha a che vedere con la scaramanzia, tuttavia per contro esiste una grande sensibilità legata all’impronta cattolica. Oggi si parla sempre di più di lascito testamentario e gli italiani stanno assumendo una consapevolezza crescente dell’importanza di questo strumento». © RIPRODUZIONE RISERVATA In Italia le donazioni ammontano a 7 miliardi di euro, ma a contare è sempre il trasporto emotivo Valerio Melandri