EconomiaCivile

Inclusione. Quando il gruppo diventa motore di un albergo solidale

Andrea Persili mercoledì 29 giugno 2022

Metti una sera a via Jenner 47 un appartamento: un turista tedesco trova lenzuola pulite. Dorme in silenzio nell’estate romana. Monteverde è il sogno che si riporterà in Germania. «Ci ha lasciato un grazie e una bottiglia di vino» dice Emiliano, un filo orgoglioso. Con altri dieci soci attende di stapparla: quando gestiranno anche l’altra casa in via Gianicolense. Saranno disabili, ma sono abilissimi: prenotazione, pulizia, organizzano tutto. Chi fa cosa, lo si decide in riunione. I ragazzi tutti insieme: della cooperativa Zighinì. Il progetto della coop li lega in una sorte: affittare stanze che ti vien voglia di tornare. Si chiama ’Handy e Rivieni’ e le recensioni hanno parlato: ’Eccezionale’ l’assistenza, voto nove e mezzo. Fabio così racconta che le stanze son piaciute, qualche volta pure troppo a clienti malandrini: «Ci hanno lasciato su booking un bel voto in recensione, ma si sono portati via da casa più d’una cosa». Ma gli undici si impegnano, prendono chiamate; puliscono le stanze. Tutti fanno tutto, ma chi non può non si vergogna. Anzi chiede aiuto a chi è più in grado, come dovrebbe andare il mondo. «La forza del lupo è il branco, il branco è la forza del lupo» dice Bruno, ovviamente romanista: se gli dici 'sei romantico', lui risponde «No, Roma-antico». Lorena, l’operatrice, ci racconta la genesi di tutto. «La cooperativa Agorà (la struttura madre che si occupa di servizi ai disabili) ha un appartamento a via Jenner. L’estate soprattutto non si fanno attività; abbiamo provato a metterlo in affitto, ci è andata molto bene. Così ci è venuto in mente di affittare stanze in modo permanente, acquistando una casa in una traversa di via Gianicolense. Il prestito ce l’ha fatto Agorà, restituiremo i soldi nel tempo». D’altronde Zighinì ha da sempre una missione: autonomia lavorativa per soggetti svantaggiati. Prima del turismo ha provato il commercio: a via Antonio Toscani, la strada sociale. Avevano un bar, ma ha chiuso i battenti. Poi un negozio di vesti, con le serrande abbassate. Rimane un altro locale che offre del Bio: ma ancora per poco, presto chiuderà. «Ho lasciato qui dentro un pezzo di cuore » dice Maria, in coop dal ’94. Dentro il negozio ha conosciuto clienti, preso stipendi, pagato gli affitti. Convive con altri ragazzi in un progetto di autonomia abitativa: l’ironia non le manca, romana davvero: «All’inizio la portiera accusava: buttate l’immondizia senza sacchetto? Io le rispondevo: siamo disabili mica stupidi. Alla fine ha scoperto che era stato quello del primo piano.. e ha chiesto scusa». Il cambiamento, quello vero, si conquista metro per metro. E come tradizione capitale: battuta per battuta. Il traguardo è ormai arrivato, l’immobile sta lì: a maggio ne son venuti in signoria, ora lo ristrutturano a dovere. A luglio, con tutto il bene che li puoi volere, fa caldo: ma i ragazzi già sanno che non ci saranno sabati e domeniche che tengano se si tratta di accogliere turisti. «Per me l’importante è che il cliente sia soddisfatto», Bruno non predica ma pratica la parabola dei talenti: «Ho fatto ragioneria con indirizzo marketing: la mia piccola esperienza la metto a disposizione del gruppo. Si può dire che sulla comunicazione, insomma, posso dire la mia». L’arte del vivere è questa roba qua: devi essere flessibile, lavorare in gruppo, avere velocità. Qualcuno lo ricorda, ma Emiliano lo ferma: «Non c’è problema davvero. Siamo un gruppo coeso. Gli ostacoli poi li supereremo insieme». La sfida è grande, le opportunità ciclopiche: Monteverde è specchio di una Roma che cambia. Fino al novecento non c’è niente lì in zona: solo campagne e una villa qua e là. Due o tre mattoni a inizio novecento, il sindaco al tempo è Ernesto Nathan: da Pio X arrivano alcune suore francesi, la loro missione è costruire una scuola. «Andate a Monteverde» il Papa risponde: «Più d’un bimbo vi seguirà ». Pier Paolo Pasolini canta Monteverde, tutto a nozze d’operai, campi e ragazzi di vita. «Adesso che è tutto cambiato -dice Maria- cambieremo anche noi. Siamo vicini al centro, abbiamo il tram 8: il turismo è davvero a portata di mano ».Sul quartiere sociale loro hanno scommesso assai forte: sono tutti a contratto (part-time), pagano affitti. Ma nel mondo che sbandiera la sostenibilità loro la bella recensione non se la vogliono prendere per acquisto ma per conquisto: «Il cliente deve tornare perché è stato bene: la finalità altruistica conta, ma non deve sostituire il buon servizio». Lorena annuisce, non nasconde il suo sogno: che l’operatore, che li segue, arretri ogni giorno di più. Che il gruppo si autogestisca in riunione. Che ogni recensione sia positiva, ma «senza che sparisca più niente da casa». © RIPRODUZIONE RISERVATA