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Microcredito. La lunga scalata verso lo sviluppo: in Ecuador rivoluzione Bcc

Paolo Viana, inviato a Quito mercoledì 21 dicembre 2022

Questa è una storia di soldi e povertà, dove nulla è come ci si aspetta. C’è un Paese fatto di case di paglia e di contadini che arano, con la forza dei buoi, i terreni aspri delle Ande. A quattromila metri, dove i conquistadores di ieri e di oggi non si spingono, perché il raccolto è scarso e le strade un supplizio di buche. C’è il solito Sudamerica da periferia del mondo, dove si nasce per emigrare – lo hanno fatto in due milioni e mezzo, su diciotto – e le donne restano a tirar su i figli, anche quando a violentarle sono i mariti che bevono e se ne vanno. Un posto dove il 5% della popolazione possiede il 60% della ricchezza, il 20% vive con un reddito tra 1,26 e 2,50 dollari al giorno e il 15% con meno di 1,25. L’Ecuador è uno dei Paesi dell’America latina che vanta le riforme più avanzate; piacciono anche ai latifondisti, se restano sulla carta. Fino a qualche tempo fa si espropriavano i campesinos nel silenzio e con la violenza. Per lavarsi la coscienza si applicava l’huasipungo, cioè il padrone regalava un pezzo di terra al suo “schiavo”; peccato che fosse la terra peggiore, da arare attaccati a una corda, tanto è ripida la campagna andina. Ma in questa storia c’è anche un altro Ecuador. Qui, negli anni Settanta si sono inventati il microcredito campesino. Sotto l’egida della Chiesa, i villaggi hanno iniziato ad acquistare i campi degli hacenderos, perché i giovani non se ne andassero dalla Cordigliera. Una rivoluzione non violenta in un continente abituato a sparare prima e a parlare dopo. Si sono mobilitati in tanti per cambiarlo. Come i volontari dell’Operazione Mato Grosso che si dedicano ai poverissimi delle montagne in nome di papito Jesus e mamita Virgen: cercano di far dimenticare la bolla di Alessandro VI, che assegnò le terre altrui agli spagnoli. O come padre Antonio Polo: nel 1970 è capitato qui cercando la rivoluzione del Che e ha trovato quella della Croce; a quel punto, si è messo a insegnare agli indios che non serviva il fucile ma i libri contabili, mettersi insieme per aprire stalle e officine. Oggi, la sua Salinas è un modello di cooperazione e sviluppo. Due Ecuador, insomma, che si inlora contrano alla mitad del mundo. Già, perché qui passa la linea dell’Equatore, qui si abbracciano Nord e Sud e qui le banche di credito cooperativo italiane hanno incontrato, quasi per caso, la propria giovinezza.

Quando, il 18 maggio del 2001, a Luigi Pettinati si presentò il presidente di Codesarrollo, Giuseppe (Bepi) Tonello, il direttore della Cassa Padana non ci vide mica l’ex salesiano, l’ex volontario dell’Operazione Mato Grosso o il “sindacalista” dei campesinos. No, per lui Tonello, accompagnato da Stefano Boffini di Cuore Amico, era inconfutabilmente il figlio delle campagne venete che nell’Ottocento, raccogliendo la lezione di Giuseppe Toniolo, avevano vinto la fame e la pellagra fondando le casse rurali e finanziando la piccola proprietà contadina. Come incontrare se stessi duecento anni prima, a migliaia di chilometri di distanza… Fu così che Cassa Padana non allungò al “Bepi” la “solita offerta” destinata ai missionari, ma gli propose un prestito e una partecipazione al capitale Codesarrollo, al una cooperativa bancaria i cui soci erano oltre 800 piccole banche di villaggio: è nato in questo modo il più riuscito e paradigmatico progetto di cooperazione nel credito, un rapporto tra pari, in cui il Paese ricco finanzia lo sviluppo del Paese povero senza regalargli un centesimo e senza depredarlo.

In vent’anni, i soldi italiani sono diventati forni per mattoni a Yaruqui, allevamenti a Malchingui, estrazione di olii essenziali a San Clemente, fabbriche di cioccolato a Salinas… In verità, il vero frutto di questo progetto non sono i beneficiari finali del finanziamento, ma la rete di cooperative di risparmio e credito creata da Codesarrollo, poi trasformatasi in società per azioni, anche grazie al finanziamento delle Bcc. Era l’obiettivo del progetto post-conciliare partito negli anni Settanta dal vescovo di Guaranda, Candido Rada, con la creazione del Fondo Equatoriano per il progresso dei popoli (Fepp) e, appunto, di Codesarollo. Prima dell’uovo, pensò il presule, dev’esserci la gallina: se si vogliono rendere i poveri padroni di se stessi occorre sottrarli alle angherie degli usurai e senza un credito che pratichi tassi accettabili, non si riuscirà mai ad alimentare quell’economia circolare che è nel Dna della popolazione andina, legata alla terra e alla dimensione comunitaria. Cassa Padana è stata dunque l’apripista di un rapporto tra le Bcc italiane (duecento quelle oggi impegnate in Ecuador) e Codesarollo che va ben oltre il dato finanziario, per diventare culturale e politico. Nel 2002 ha preso forma la Dichiarazione di Quito, firmata dall’allora presidente di Federcasse Alessandro Azzi. Aggiornata poi nel 2012 e rinnovata come “Alleanza di Quito” durante l’incontro Ecuador-Italia di qualche giorno fa, sancisce il primato della persona e della cooperazione. Nel 2008, sotto la presidenza di Rafael Correa, è stata approvata la nuova Costituzione ecuadoriana, la quale stabilisce che il «sistema economico è sociale e solidale» e introduce, accanto alle banche pubbliche e a quelle private, anche quelle « popolari e solidali».

Certo, lo scenario resta complesso, come dimostra il caso della dollarizzazione del 2000. Criticata dai cattolici per i suoi effetti sociali, la sostituzione della valuta locale ha cancellato il potere d’acquisto del 500%, eppure la finanza popolare deve tutto al dollaro. Prendiamo la compra dei terreni: se il prestito fosse in valuta locale o in euro, non basterebbe che il tasso d’interesse applicato dalle Bcc a Codesarollo fosse (come è) inferiore a quelli locali, perché quel vantaggio verrebbe subito vanificato dalla volatilità del mercato monetario. Piaccia o no, l’assoggettamento del Paese al dollaro americano – che condiziona le esportazioni di questo Paese ricco di risorse minerarie e agricole – stabilizza le relazioni finanziarie e tiene in piedi l’intero programma della Microfinanza Campesina, il quale, diversamente da altri, riesce a erogare finanziamenti di durata pluriennale, indispensabili per uno sviluppo agricolo e industriale.

Vediamo qualche numero. Su un quinquennio, i prestiti italiani – erogati in pool dalle Bcc e coordinati dalle loro Federazioni locali (in accordo con le Capogruppo cooperative Iccrea e Cassa Centrale Banca e la Federazione Raiffeisen) le quali hanno destinato importanti risorse alla capitalizzazione di Codesarrollo – hanno permesso a 12mila donne di ricevere 45 milioni di dollari, con cui sono state costruite duemila case e ristrutturate 1.800, acquistati 5.400 ettari di terra e legalizzati altri 90mila. In vent’anni, sono stati complessivamente acquistati 100mila ettari e legalizzati 900mila, soprattutto nell’area amazzonica. Ciò grazie ai crediti erogati dalle Bcc a Codesarrollo a tasso agevolato per 77 milioni di dollari (oltre a 12 ancora in essere) e ai finanziamenti concessi al Fepp per 11 milioni (debito residuo di 2), mentre 3,5 milioni sono stati donati per attività economico-sociali. Oggi, 25 realtà afferenti al sistema del Credito Cooperativo italiano detengono complessivamente il 38% del capitale di Codesarrollo (19,4 milioni di dollari).

A giugno 2022 il patrimonio complessivo di Codesarrollo era di 26,8 milioni, la raccolta 210, i prestiti 238 e le sofferenze attorno al 5%. Una così esigua insolvenza, in un contesto così difficile, dimostra una perfetta conoscenza del mercato. Infatti, si tende a finanziare più le comunità che i privati, limitando l’alea derivante dal fatto che questo microcredito non richiede le consuete garanzie patrimoniali ed è accessibile anche a soggetti già attenzionati dalla centrale rischi. Recentemente, con un milione di dollari a San Clemente, una zona aridissima, è stato realizzato un impianto di irrigazione su decine di ettari. Talvolta, le Bcc sono affiancate anche da altri finanziatori, come la Chiesa valdese. Da qualche tempo si ricorre anche al crowfunding: Emilbanca ha appena lanciato un’iniziativa per creare una struttura di commercializzazione dei prodotti nella provincia settentrionale di Imbabura. Il tasso applicato a Codesarollo, che a sua volta presta soldi a privati, famiglie e comunità, è lo stesso che le Bcc riconoscono ai loro migliori clienti. Trattandosi di dollari, varia in relazione alle decisioni della Fed. Il Banco, a sua volta, applica alle cooperative di credito e alle casse rurali ecuadoriane il tasso del 10% e queste ultime un tasso che varia tra il 14 e il 21% ai privati. Sono tassi inferiori – in media – del 30% a quelli applicati dalle altre banche (e della diffusissima usura, che chiede il 10% al giorno): in Ecuador il tasso d’interesse applicato al microcredito può arrivare, per legge, al 28,5% annuo.

Anche sul credito cooperativo ecuadoriano gravano oneri amministrativi che gonfiano i costi di gestione. Peggioreranno con il recepimento di Basilea 3, prela so molto sul serio dalla Sovrintendenza delle banche, che non è tenera con Codesarrollo: nel 2015, un’ispezione ha portato a 315 osservazioni, che hanno richiesto due anni di lavoro per adeguare l’organizzazione del Banco. Visto dall’Italia, il successo dell’iniziativa dipende anche dal fatto che le Bcc sono molti più grandi di Cosedarrollo, i finanziamenti contenuti e il rischio cliente diluito tra gli istituti che partecipano al pool che li eroga.

Il giudizio del Credito Cooperativo al termine dell’incontro di Quito è stato perciò positivo e – come ha confermato il past president di Federcasse e oggi al guida della Federazione Lombarda e della Fondazione Tertio Millennio, Alessandro Azzi – le Bcc parteciperanno all’aumento di capitale di Codesarrollo con un milione di dollari su uno e mezzo, bene impressionate anche del fatto che i finanziamenti stranieri concessi a Codesarollo sono scesi dal 60 al 20% del passivo mentre venivano incrementati di molto quelli erogati, a conferma del fatto che il Banco cresce anche da solo. Questo progetto è uno dei modi con i quali si concretizza la funzione sociale del credito cooperativo e la reale possibilità – come dice il direttore generale di Federcasse Sergio Gatti – «di unire razionalità economica e finalità mutualistiche. Abbiamo capito ancora meglio qui che il dono impigrisce mentre il credito responsabilizza e rende protagonisti. E avuto la conferma che si può lavorare insieme per lo sviluppo partecipato, mantenendosi su un piano di pari dignità, prescindendo da incentivi materiali e applicando tutte le regole dello scambio economico». Ma perché tutto ciò appassiona solo le Bcc? Il presidente di Federcasse Augusto dell’Erba risponde così: « Noi agiamo nell’interesse generale oltre che per il vantaggio dei nostri soci. Anche nella cooperazione internazionale, noi non siamo quelli che dopo aver preso tanto ne restituiamo un pezzettino come finanziamento a fondo perduto, ma quelli che testimoniano un metodo che fa l’interesse generale». Ossia, il Credito Cooperativo è un modo differente di fare banca (biodiversità), che deve comunque applicare pressoché tutte le regole delle altre, ma che ha finalità diverse (teleodiversità), le quali discendono dalla propria natura mutualistica. Se ne sta discutendo proprio in queste settimane con l’Europa, cui Federcasse chiede di includere nelle regole bancarie la categoria di ente dell’economia sociale – previsto con altre parole dalla nostra Costituzione, caro ai tedeschi e richiamato da un action plan del 2021 della Commissione – e di applicare realmente in modo strutturale il principio di proporzionalità nel quadro regolamentare bancario.