EconomiaCivile

La cura delle radici/25. Beni comuni e dilemmi della libertà

Vittorio Pelligra martedì 2 maggio 2023

Abbiamo molte volte parlato della “tragedia dei beni comuni”, quella logica formalizzata da Garrett Hardin che mette in luce la natura fragile delle risorse comuni. A causa della loro non-escludibilità e della loro rivalità, del fatto, cioè, che nessuno possa legittimamente essere escluso dal godimento di un bene comune e del contemporaneo fatto che questi beni si consumano con l’uso, questi beni sono tragicamente condannati ad uno sfruttamento eccessivo che può portare alla loro completa distruzione. Se teniamo conto del fatto che tra i beni comuni annoveriamo l’ambiente, l’acqua, le foreste, i pesci degli oceani, ma anche beni immateriali come la fiducia interpersonale, la qualità del dibattito pubblico, il paesaggio, solo per fare qualche esempio, ci rendiamo conto, non solo, dell’importanza della comprensione della logica che presiede al funzionamento di questi beni, ma anche di quanto sia urgente l’attivazione di misure concrete che vadano a prevenire il sovra-sfruttamento ed eventualmente a ripararne i danni. Nell’impostazione classica le radici della tragedia risiedono nell’autointeresse che muove, spesso, all’azione gli esseri umani e la loro miope libertà negativa.

Abbiamo visto più volte in vari interventi di questa rubrica quali sono i limiti di un modello antropologico fondato esclusivamente sull’autointeresse. Abbiamo potuto scoprire quanto più complessa sia la nostra struttura motivazionale e quanto plurali siano le nostre intenzioni. Mi vorrei concentrare oggi sull’altro aspetto, quello della libertà. Come abbiamo detto alla radice della tragedia dei beni comuni si trova un paradosso, quello che vede contrapporsi la libertà di ricercare il massimo beneficio individuale e la possibilità che tali comportamenti si rivelino dannosi sia per la collettività che per il singolo. Sembra emergere un trade-off, un rapporto di scambio, tra libertà e benessere. All’aumentare della prima si riduce il secondo e viceversa. Un fatto che colpisce e disturba la nostra intuizione morale. Una delle ragioni di questo paradosso apparente risiede nel fatto che la libertà è una e sono tante allo stesso tempo. Il filosofo e storico delle idee Isaiah Berlin parlava al riguardo di due concetti di libertà: libertà negativa e libertà positiva.

La libertà negativa ha a che fare con l’assenza di coercizione, con la possibilità che nessuno ci obblighi ad una condotta che altrimenti non avremmo tenuto. Per essere libero, in questa accezione, nessuno deve costringermi a fare qualcosa o a non fare qualcos’altro. In breve, la libertà negativa è “libertà da”. «Più ampia è l’area di non interferenza, più ampia è la mia libertà», dice Berlin.

La libertà positiva, invece, è la “libertà di”. Essa ha più a che fare con il bisogno di autodeterminazione e la possibilità di esercitare pieno controllo sulla propria vita. L’essenza della libertà positiva è l’idea di autonomia.

Uno dei principali interpreti contemporanei dell’idea di libertà positiva è l’economista indiano e premio Nobel, Amartya Sen. Nella sua prospettiva la libertà si riflette principalmente nella possibilità che ognuno di noi ha di vivere la vita che ritiene degna di essere vissuta. Certo l’assenza di interferenze esterne e di coercizione gioca un ruolo importante nel determinare le condizioni di questa possibilità, ma non è l’unico aspetto. Occorrono infatti anche condizioni positive, come per esempio la possibilità di esercitare attivamente dei diritti, di avere delle opportunità, di disporre di un reddito adeguato, di non essere discriminato, di poter ricevere un’educazione, e molte altre. La libertà è, nel linguaggio di Sen, la possibilità di tradurre le “capacità” in “funzionamenti”. Aristotelicamente, di poter fiorire come persone, di poter raggiungere la virtù, cioè portare all’eccellenza le nostre potenzialità.

Cosa lega questo tema con quello dei beni comuni e della loro fragilità? Proprio il fatto che mentre una visione negativa della libertà come assenza di limiti e coercizione produce il sovra-sfruttamento che si ritorce poi contro noi stessi, in una visione positiva della libertà, il limite auto-imposto o quello che scaturisce da un accordo collettivo non rappresenta un vero limite quanto piuttosto una condizione di libertà e di sviluppo. Come in una democrazia compiuta le norme vincolanti non possono essere interpretare come un ostacolo alla libertà personale, ma rappresentano invece la realizzazione di un progetto condiviso, allo stesso modo la gestione collettiva dei beni comuni può articolarsi non tanto intorno a vincoli repressivi, ma sulla base di una visione positiva della libertà che ci aiuta a fiorire come singoli e come comunità, allo stesso tempo. Occorre in questo senso una importante operazione di chiarificazione culturale contro le rappresentazioni spesso banali e caricaturali dell’idea di libertà che possa promuovere una visione dello stare insieme orientata alla creazione di opportunità più che alla frapposizione di ostacoli.

La libertà positiva differisce dalla libertà negativa perché una persona che non subisca coercizione ma è privo di risorse può vivere comunque una vita misera e breve. Solo la libertà positiva può offrire alle persone reali opportunità che la libertà negativa di per sé non garantisce. Vista la sempre maggiore rilevanza che i beni comuni e i beni comuni globali esercitano nelle nostre vite, una vera libertà positiva non può che passare per la loro attiva difesa, promozione e valorizzazione.