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Management. L'utile profitto non è per pochi

di Massimo Folador mercoledì 5 maggio 2021

Nella precedente puntata di questa rubrica abbiamo indagato la parola impresa e la necessità di discernere sullo scopo ultimo verso cui ogni impresa deve indirizzare le proprie energie e risorse. Ciò che la distingue dall’essere un’azienda nella quale l’orientamento al solo risultato economico, legittimo e fondamentale, porta a volte con sé il rischio di produrre risultati inattesi e poco 'utili'. E adopero volutamente questo aggettivo per introdurre la parola di oggi, utile per l’appunto, termine che nella vita privata ha una connotazione ben chiara perché indica qualcosa che serve, permette di vivere meglio, ma che in economia è caratterizzato da un altro significato precipuo: quella riga del bilancio che sancisce la bontà o meno del fare impresa, il suo fine ultimo, quali che siano le modalità di produrlo e distribuirlo. Eppure è accaduto che aziende con bilanci ufficialmente in 'utile' stessero da tempo producendo risultati poco 'utili' persino alla sopravvivenza stessa dell’impresa. Realtà che proprio tentando di massimizzare gli utili avevano leso irrimediabilmente il rapporto con gli stakeholders, compromettendo il loro stesso futuro. All’estero Enron e Lehman Brothers ad esempio, due scandali clamorosi, come da noi i casi eclatanti di alcune note banche che, per presentare bilanci 'in utile', li hanno falsificati, danneggiando correntisti, dipendenti, l’intera collettività fino a divenire aziende 'inutili'. La domanda allora è ovvia: l’'utile' è sempre utile? È sufficiente l’analisi del conto economico e dello stato patrimoniale per valutare se l’azienda sta facendo impresa oppure è gestita, come dicevamo nello scorso articolo, da faccendieri? In questo passaggio ci viene in aiuto paradossalmente una seconda parola, profitto, che nel gergo aziendale ha un significato ben preciso, simile alla prima e che una schiera di economisti ha fatto divenire un totem indiscusso, nel tentativo, ahimè riuscito, di indirizzare verso questo scopo tanta parte dell’economia tradizionale. Peccato che il termine sia latino e derivi dall’unione del prefisso 'pro' con il verbo 'facere': letteralmente 'fare qualcosa di buono per qualcuno'. Di qui il rimando dell’epica alla figura del 'prode', colui che si pone a capo di un progetto per inseguire un ideale, uno scopo utile alla collettività. L’opinione pubblica spesso ha osannato imprenditori e manager che hanno realizzato grandi 'profitti', salvo poi renderci conto che tutto erano fuorchè dei 'prodi', perché poco o niente le loro aziende avevano fatto per generare 'esternalità positive' per l’ambiente, la società, le persone. Nel loro caso, forse, avremmo potuto parlare di crescita del 'margine operativo lordo', ma non certo di profitto se poco o niente del loro fare è risultato 'pro' qualcuno. Valgono i casi sopra citati ma purtroppo ve ne sono altri drammatici, su tutti la vicenda ThyssenKrupp, in cui la magistratura ha accertato violazioni di tipo penale in relazione a scelte in cui la massimizzazione del profitto è coincisa con la minimizzazione della vita delle persone. Oggi finalmente si parla di Report Integrato e di strumenti in grado di leggere in modo tridimensionale l’attività di un’azienda per capire la reale sostanza del suo risultato grazie alla comparazione di dati di tipo eco-fin con altri legati ai capitali intangibili. Il loro insieme può dirci ciò che realmente l’impresa fa ed è: se è utile e produce un profitto per il proprio sistema, a partire dagli shareholders. O i nodi arriveranno al pettine a breve. Non è un caso che proprio la finanza e i grandi fondi di investimento stiano avvicinandosi a questi strumenti. Banca Etica da noi li usa con ottimi risultati da anni, certi del fatto che solo in questo modo è possibile misurare la reale sostenibilità di un’impresa e la sua capacità di produrre valore nel tempo. Ma di questa parola, semplice ed enorme, parleremo nel prossimo articolo.

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