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Sviluppo sostenibile. Bambini in miniera, il traguardo del cobalto "etico"

Alberto Caprotti giovedì 8 aprile 2021

Bambini al lavoro in una miniera del Congo

Il traguardo di una mobilità sempre più ecologica attraverso la larga diffusione dei veicoli elettrici ha e avrà costi sempre più alti per i produttori. Ma anche per i consumatori, che saranno chiamati a pagare il prezzo della giusta e inevitabile cura della sostenibilità delle materie prime necessarie per costruirle. Sotto accusa in particolare c’è l’estrazione del cobalto, uno dei componenti indispensabili per fabbricare le batterie, delle auto e non solo, la cui catena di approvvigionamento presenta ancora molti lati oscuri legati allo sfruttamento del lavoro - anche minorile - nel Paesi del Terzo Mondo.

Per questo la Commissione Europea, nell’ambito del "Circular Economy Action Plan", ha presentato la proposta di un nuovo regolamento che, oltre a mantenere i principi e le responsabilità dei produttori, prevede l’introduzione di standard minimi obbligatori di sostenibilità e sicurezza per tutte le batterie immesse sul mercato europeo. Tra gli obiettivi primari c’è quello di evitare, o almeno minimizzare, l’utilizzo di sostanze inquinanti privilegiando invece l’impiego di materiali riciclati per la fabbricazione delle nuove celle.

Il provvedimento intende favorire in alternativa l’utilizzo solo di cobalto "etico", e incrocia la necessità di proteggere i diritti umani di chi lavora per estrarlo. Più del 60% della fornitura mondiale di questo minerale infatti proviene dalla Repubblica Democratica del Congo, e il 30% delle estrazioni congolesi vengono effettuate da minatori che lavorano in condizioni disumane, bambini inclusi. L’Unicef nel 2014 ha stimato che nel comparto minerario di questo Paese sono impiegati almeno 40mila minori, particolarmente adatti – seconda la logica di compagnie minerarie senza scrupoli – per addentrarsi nelle strettissime gallerie scavate nelle viscere della terra.

Nel solo 2020, il Congo ha portato alla luce 99.000 tonnellate di cobalto: circa 9.000 di queste sono state estratte a mano. Il tutto, ha denunciato Amnesty International, utilizzando uomini, donne e bambini che lavorano fino a 12 ore al giorno sotto terra in cambio di salari da fame, senza ventilazione né misure di sicurezza, maneggiando e respirando polveri estremamente nocive.
Ora anche all’interno del Paese qualcosa si sta muovendo. E Jean-Dominique Takis Kumbo, direttore della società statale Entreprise generale du cobalt (Egc), ha recentemente annunciato che le cose cambieranno presto. La sua azienda infatti avrà a breve il monopolio di stato sull’acquisto del cobalto estratto a mano. Una mossa che mira a regolarizzare le condizioni dei lavoratori e soddisfare una domanda di cobalto in grandissima crescita, ponendo fine alle esportazioni illegali che privano lo Stato di entrate fiscali.

Secondo un report dell’Unione Europea, da qui al 2030 litio e cobalto serviranno rispettivamente in misura 80 e 50 volte superiore rispetto all’uso attuale, un dato significativo se si considera l’attuale dipendenza dell’Europa da Paesi terzi. Considerando lo sviluppo vertiginoso delle auto elettriche, in particolare è stimato che occorreranno 64mila tonnellate di cobalto per un valore complessivo di 3,2 miliardi di dollari per esaudire la domanda dei costruttori. Quasi tutti in realtà si sono già allineati aderendo a rigorosi protocolli interni per rifornirsi solo di cobalto di provenienza certificata, ma parte di questo materiale arriva sul mercato dopo essere passato di mano attraverso aziende e intermediari che lo mischiano con quello proveniente da miniere fuori legge. Il che rende più difficile del previsto accertarsi della vera origine di questo elemento.

Circa un anno fa, l’Unione Europea ha iniziato a sviluppare un pacchetto di nome atte a contenere il problema: il Commissario europeo per la giustizia, Didier Reynders, si è ufficialmente impegnato a definire delle linee guida per una "governance" responsabile delle imprese, annunciando l’adozione di una legislazione europea in materia di diritti umani e ambiente.
La proposta legislativa in questione imporrà a tutte le aziende l’obbligo di implementare un processo «volto a identificare, prevenire, mitigare e rendere conto degli impatti negativi, reali o potenziali, su diritti umani e ambiente dovuti alle operazioni commerciali globali delle suddette aziende e lungo le loro catene del valore».