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Orizzonti. Il ruolo della finanza nella transizione

Francesco Bicciato * mercoledì 3 novembre 2021

La transizione ci dovrebbe portare verso una società a zero emissioni climalteranti e verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile. I benefici sul piano ambientale sono chiari, così come è chiaro che servirà un’iniezione di investimenti, stimati nel periodo 2020-2030 in 350 miliardi di euro annui aggiuntivi rispetto al decennio precedente. Il tema sociale invece è una questione aperta che va adeguatamente governata. Il cambio del mix energetico, con le conseguenti ricadute economiche, può portare con sé, in una prima fase, situazioni di gravi vulnerabilità sociali. Appare chiaro d’altronde che la chiusura di interi settori ad alte emissioni o la loro riconversione provocheranno conseguenze dirette sull’occupazione. Se il processo di transizione come auspicato procederà speditamente, servirà una forte governance per gestire gli impatti sociali. Per questo, è importante che i decisori politici adottino azioni che mirino a ridurre le emissioni e non aumentino le disuguaglianze. Per comprendere quanto la questione occupazionale sia rilevante, pensiamo al caso esemplare del settore del carbone. Solo in Europa, secondo un rapporto pubblicato quest’anno dal Joint Research Centre, la sua estrazione e combustione per produrre elettricità impiega 340mila lavoratori tra diretti e indiretti. Da qui al 2030 si stima che si potrebbero perdere tra i 54mila e i 112mila posti: ovviamente tali effetti cresceranno in base a quanto sarà rapido il processo di phase out. La soluzione non può certo essere un ritardo nel processo di transizione, ma deve certamente passare per la sua gestione, affiancando alla riduzione delle fonti fossili e allo sviluppo delle rinnovabili misure per la creazione di nuovi posti di lavoro, la riqualificazione delle competenze e l’adozione di adeguati ammortizzatori sociali per le categorie più svantaggiate. Non è un caso che il concetto di just transition sia nato pensando in particolare ai costi sociali derivanti dalla disoccupazione. Già nel 2013, la Conferenza internazionale del lavoro aveva adottato conclusioni riguardanti lo sviluppo sostenibile e il lavoro dignitoso. Le più innovative politiche aziendali stanno cercando di identificare percorsi di reskilling per aumentare i posti di lavoro verdi proprio in un quadro di una transizione più equa. Il concetto di just transition è presente poi nelle Linee guida per una giusta transizione adottate nel 2015 dall’Oil, e viene ripreso nello stesso anno anche negli Accordi di Parigi sul clima, dove si riconoscono «gli imperativi di una transizione equa della forza lavoro». Se dunque i principi di una rapida decarbonizzazione non devono essere messi in discussione, gli impatti sociali negativi dovrebbero essere il più possibile prevenuti. In questo senso un ruolo attivo lo possono assumente gli operatori di finanza sostenibile, pubblici e privati, nel riorientare gli investimenti con una rigorosa applicazione dei criteri ESG.

* Segretario generale Forum per la Finanza Sostenibile