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Il libro. Riciclare il cibo: sana abitudine dai banchetti romani alla corte di Re Sole

Claudio Ferlan mercoledì 16 giugno 2021

Alla storia dell’alimentazione interessano dietologia e gusto, gastronomia e nutrizione, scambi culturali e commerciali, produzione agricola e industriale, valenza religiosa di cibi e bevande, e non finisce qui. La ricchezza dei temi bene si sposa con quella delle fonti: carte d’archivio, quadri, romanzi, libri di cucina e medicina, poesie, canzoni. Quella dell’alimentazione, come ogni storia, è in grado di aiutare a rispondere ad alcune domande del nostro tempo, per esempio: come promuovere la riduzione dello spreco? Gettare il cibo nella spazzatura è un’abitudine nata nel XIX secolo, recente, ragionando con i tempi lunghi La La cultura del disprezzo per le eccedenze nasce con la società industriale, quella dei consumi. Uno sguardo poco accorto ai secoli passati potrebbe ingannarci: che dire dei banchetti di età romana (il Satyricon di Petronio), di quelli rina- scimentali o delle corti sei-settecentesche? Immaginiamo sovrani, nobili e ricchi sciupare il cibo buttandolo dalla finestra, abbandonandolo sulla tavola, ostentando la propria ricchezza in un tripudio di vivande fuori portata per qualsiasi stomaco. Non è così. Alla corte del Re Sole (Luigi XIV, regnante tra 1643 e 1715) il lusso si ostentava, ma gli avanzi si ridistribuivano. Quanto veniva preparato per un simposio destinato a durare anche dei giorni finiva inserito in un’economia di recupero e riutilizzo, basata sulla ripartizione degli avanzi e capace di generare un commercio parallelo, diretto da ufficiali nominati apposta.

Il cibo riciclato, insomma, contribuiva a costruire e alimentare un sistema di compravendite di cui poco sappiamo, a eccezione della sua esistenza. Certo, non si trattava di un impianto a prova di mal di stomaco: chi doveva accontentarsi degli avanzi accettava sovente alimenti di ultima scelta, ma ripudiava l’idea di sbarazzarsene. Non era tutta generosità: il potere di un principe si misurava pure attraverso la capacità di donare ai sudditi cose da mangiare. Nella Baghdad del X secolo il visir Hamid ibn al-Abbas preparava pasti sontuosi per ospiti e servi, a base di carne e pane bianco, cibi ricchi per la cultura dell’epoca. I servi però preferivano nutrirsi di fagioli secchi per mandare le proprie razioni alle famiglie. Venutolo a sapere, al-Abbas decise di raddoppiare la dose, ma essi continuarono a mangiare i fagioli secchi per destinare il secondo pasto ai macellai e accumulare così un credito da riscuotere in tempo di festa. Le ricette del recupero sono un altro tassello del mosaico anti-spreco: nelle regole dei monasteri medievali si imponeva di conservare le briciole di pane, per farne una torta a fine settimana. Rendersi conto dell’esistenza di tali pratiche può aiutarci a individuare una buona strada per una gestione ragionata e virtuosa degli eccessi: non è priva di conseguenza la consapevolezza che nel passato il problema già si è posto e le soluzioni si sono cercate e trovate. In fondo, possiamo considerare le odierne applicazioni che mettono in circolazione le eccedenze di supermercati e ristoratori per raggiungere le mense dei bisognosi come discendenti virtuali degli ufficiali francesi. La Fondazione Bruno Kessler di Trento, in collaborazione con Shair.Tech (startup a vocazione sociale tesa a contribuire a rendere più equi, inclusivi e circolari i sistemi agroalimentare e della distribuzione) vuole mettere assieme l’indagine storica con le strategie anti-spreco del Terzo millennio grazie al progetto 'che Spreco! Togliamo il cibo dalla spazzatura', finanziato dalla Fondazione Caritro. Analizzando gli sperperi e lavorando sulle ricette degli avanzi, il progetto si propone di informare studentesse e studenti di alcune scuole superiori trentine su tecniche e azioni possibili per un’efficace riduzione delle eccedenze alimentari e per una più equa allocazione delle risorse. Pensiamo al consumo domestico di prodotti a filiera corta, per secoli l’unico consumo possibile, e alla capacità dei giovani di comunicare e di trasferire nelle proprie famiglie e nei gruppi sociali di riferimento le competenze acquisite a scuola. Pensiamo alle potenzialità di una cultura alimentare attenta alla sostenibilità ambientale e sociale, alle specificità del territorio, alla valorizzazione delle materie prime, al legame tra alimentazione e buona salute, all’economia del risparmio. Promuovere una cultura storica informata contribuisce a far comprendere come un rapporto avveduto con il proprio passato sia uno strumento fondamentale per vivere consapevolmente il presente e progettare il futuro. Su queste basi, si dimostra utile pure la lettura dei resoconti di gozzoviglie di corte risalenti a qualche secolo fa.