EconomiaCivile

Il potere della cura? È rivoluzionario

Giulia Galera* e Sonia Pistidda** mercoledì 6 aprile 2022

Il termine 'cura' racchiude nel suo significato l’attenzione e l’empatia che riserviamo all’altro. La sua natura etimologica rivela non un semplice gesto, ma un processo che ha tra i suoi tratti distintivi la continuità nel tempo e il coinvolgimento. Prendersi 'cura' di qualcuno o di qualcosa, quindi, significa stabilire una comunicazione relazionale profonda. La recente pandemia ha innescato la necessità di riflettere su un nuovo concetto di cura e le numerose esperienze nate dal basso hanno dimostrato che nuovi modelli di reciproco aiuto non sono solo possibili, ma anche necessari. La cura, in questa seconda e più recente accezione, diventa sempre più una responsabilità collettiva inserita in una visione olistica, che prende vigore da un’esperienza non solo sociale ma anche economica, politica e, non meno importante, 'territoriale'. Lo spazio fisico abitato è infatti il dispositivo relazionale per eccellenza e la connessione tra persone e luoghi è di estrema importanza per il rafforzamento del senso di appartenenza.

La cura per il territorio e per le persone che lo abitano sono quindi due aspetti inscindibili e indispensabili per dare vita a luoghi e comunità sostenibili. Sebbene negli ultimi anni l’impegno a preservare l’ambiente sia cresciuto in importanza nelle organizzazioni pubbliche e private, for profit e non profit, emergono differenze rilevanti quanto a capacità di prendersi cura del territorio e della comunità. Nella costellazione di organizzazioni attive nella così detta green economy, su tutte, spiccano le imprese tradizionali impegnate nel generare effetti positivi, ovvero nel ridurre gli effetti negativi delle loro azioni sull’ambiente e sulla società. Accanto ai colossi multinazionali, il cui impegno per l’ambiente è ampiamente riconosciuto grazie a efficaci strategie di marketing, vi è una molteplicità di organizzazioni non a scopo di lucro meno note, tra cui le associazioni, le fondazioni e le cooperative di varie dimensioni, impegnate a tutela della biodiversità e dell’ambiente. A differenza delle imprese tradizionali, che generano un impatto ambientale senza mettere in discussione l’obiettivo prioritario del profitto, né tantomeno modificare le proprie strutture proprietarie e di governo, queste organizzazioni lottano quotidianamente per trasformare i modelli di produzione e consumo dominanti al fine di renderli non solo più sostenibili, ma anche più inclusivi, equi e democratici. Sono soggetti che mirano a innescare profondi cambiamenti all’insegna di una maggiore giustizia sociale e lotta alle disuguaglianze nell’accesso a servizi come l’energia e il lavoro; guardano ai bisogni degli abitanti attuali, così come a quelli delle generazioni future, e si impegnano in attività educative volte a promuovere una nuova consapevolezza della cittadinanza.

L’elemento distintivo di questa moltitudine, sia che si tratti di associazioni di advocacy, imprese sociali di inserimento lavorativo o cooperative che lottano contro la povertà energetica, è l’inclinazione ad aggregare una pluralità di attori attraverso modalità che spaziano dalla progettazione partecipata ai patti di collaborazione, fino all’adozione di modelli proprietari a larga partecipazione nella gestione di beni comuni. Soprattutto in questi casi la partecipazione fa la differenza: non solo perché consente di intercettare bisogni nascosti, ma anche perché permette di attrarre una pluralità di risorse, che stimolano il disegno di inedite strategie d’intervento in grado di dare dignità al lavoro e nuovo valore a spazi e luoghi a rischio di abbandono. Sono quindi le organizzazioni in prima linea nell’adottare modus operandi partecipati a declinare il concetto di cura nel modo più compiuto, in funzione di una pluralità di bisogni che intrecciano ambiti di policy diversi: il welfare, il lavoro e l’ambiente. La pandemia ha reso i territori e le comunità che li abitano ancora più fragili. Numerose sono le iniziative che si sono aggiunte a quelle già in corso per sostenere la ripresa, accelerando anche un cambio di prospettiva: le opportunità che potranno derivare dal Next Generation EU, dal Pnrr ma anche dalle nuove linee del Green Deal europeo sono tutte occasioni importanti che non vanno sprecate e che non possono prescindere dalle specificità e dalla natura dei territori e delle loro comunità. C’è un altro punto sul quale puntare l’attenzione. L’elemento ricorrente in molti di questi programmi è il turismo, in quanto considerato motore di rigenerazione per i territori. Ma questo non può e non deve essere l’unico elemento di traino per lo sviluppo; occorre, infatti, creare le condizioni per 'restare'. Servono progetti strutturati, che valorizzino il patrimonio costruito esistente, supportino le comunità e favoriscano l’inclusione di soggetti fragili in progetti condivisi, che partano dai luoghi stessi e dalle loro necessità intrinseche. Da questa prospettiva l’avere cura significa anche diffondere l’arte di 'riparare' quanto già esiste. Ecco che allora il momento storico ed economico che stiamo attraversando rappresenta l’occasione per stabilire nuove sinergie virtuose tra amministratori, comunità ed enti del Terzo settore. Questi ultimi potrebbero svolgere il ruolo chiave di 'facilitatori' in processi di community engagement che siano realmente bottom up; collaborare alla costruzione di efficaci partenariati; aiutare le amministrazioni ad intercettare finanziamenti importanti e ad utilizzarli per finalità condivise. Con la consapevolezza che il confrontarsi con la complessità richiede un approccio aperto e flessibile, multi metodo e multi livello ed una disponibilità a rinunciare a semplificare per abbracciare la moltitudine e la diversità come ricchezza da cui partire.