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Sostenibilità. Contro gli sprechi alimentari, anche le scienze e la comunicazione

Claudio Ferlan mercoledì 9 novembre 2022

Capita sempre più frequentemente di leggere consigli sulle buone pratiche volte a evitare gli sprechi alimentari. Li troviamo su siti e pagine cartacee di quotidiani e periodici (generalisti e di settore), su opuscoli e avvisi preparati in ambito sanitario o dell’industria alimentare. Abbiamo così iniziato sempre più a familiarizzare con la necessità di fare la spesa a stomaco pieno, riporre gli alimenti nelle dispense e nei frigoriferi seguendo un ordine dettato dalle date di scadenza, utilizzare gli ingredienti solo apparentemente in avanzo per farne dei punti di forza per ricette del riuso.

La visione più ampia

Sono tutte iniziative di rispetto, forme di comunicazione volte al meglio, ma la domanda è se siano sufficienti a mutare radicalmente costumi alimentari costruiti, per la generazione degli ultraquarantenni almeno, sulla presunzione di avere disponibilità pressoché illimitate e di potersi agevolmente disfare del superfluo, senza far danno a nessuno. La risposta, se non altro quella di chi scrive, è no. E si tratta di una risposta che si apprende tanto dalla frequentazione delle giovani generazioni quanto dalla coltivazione della conoscenza e dall’analisi dei dati. La prova sul campo è fornita dall’andamento e dalla conclusione del progetto «cheSpreco! Togliamo il cibo dalla spazzatura», finanziato dalla Fondazione Caritro (Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto) e ideato dalla Fondazione Bruno Kessler, un ente di ricerca, e dalla startup a vocazione sociale shair.tech, che si pone come obiettivo di contribuire a rendere più equo, inclusivo, sostenibile e circolare il sistema agroalimentare e quello della distribuzione di beni e prodotti. L’auspicio di togliere il cibo dalla spazzatura si è concretizzato grazie all’impegno delle classi di alcune scuole trentine, accompagnate dalle loro docenti: l’Istituto Alberghiero di Levico Terme, il Centro di Formazione Professionale Alberghiero di Ossana, il Liceo Sportivo Antonio Rosmini di Rovereto e il Liceo Classico Giovanni Prati di Trento.

La collaborazione tra scienze

Alla base dell’idea di progetto stava e sta questa considerazione: le pratiche senza un solido supporto culturale, uno sguardo più ampio che le sappia collocare in una visione d’insieme rischiano di avere vita e memoria corte. Come alimentare questa visione d’insieme? Il bello della risposta alla domanda è che lascia largo spazio alla fantasia e alla sperimentazione, perché la costruzione della cultura può percorrere un variegato e poco limitato numero di strade. La scelta di «cheSpreco!» è stata quella di mettere al centro del percorso la storia, l’antropologia e l’informatica, con l’obiettivo di disegnare un quadro teorico di riferimento utile a creare consapevolezza sulle origini dello sperpero e stabilire così un punto di partenza per azioni virtuose. Non basta, però, perché l’ambizione è stata ed è quella di trovare modi efficaci per comunicare e condividere sia il punto di partenza, sia le azioni virtuose.

Attraverso i documenti, la storia ci insegna che l’attenzione al riutilizzo è sempre esistita, di conseguenza il sapere delle donne e degli uomini sul tema si è costruito attraverso i millenni, chiamando in causa la possibile molteplice destinazione degli ingredienti, la redistribuzione, la produzione accorta. Usando le interviste e l’osservazione, l’antropologia ci racconta che lo spazio e il tempo non hanno mai limitato le prove, i tentativi, i successi e gli errori volti alla valorizzazione delle ricchezze di determinati territori o allo scambio di alimenti e soluzioni per fare fronte a difficoltà di approvvigionamento. Progettando applicazioni, l’informatica ci mostra come dall’analisi dei dati possano derivare idee innovative capaci di organizzare su larga scala la redistribuzione degli avanzi, di agevolare modelli di intervento o di creare occasioni di partecipazione per persone interessate a condividere conoscenze e alimenti.



Comunicare le scienze



Proprio la comunicazione è uno dei linguaggi comuni, in grado di mettere in connessione scienze umane, sociali e dure, attraverso forme che le studentesse e gli studenti sanno percorrere con competenze e visioni spesso assai evolute. Si è costruita così una rete di strumenti per informare e riflettere sulla lotta allo spreco alimentare, attraverso un percorso che ha guardato alle buone pratiche come a un punto di arrivo, anziché un punto di partenza. Perché, si sa, una meta si ricorda meglio se raggiunta dopo un percorso, anziché dopo un trasferimento immediato: se infatti gli aeroporti o gli autogrill sono stati identificati come non luoghi, lo stesso non si può certo dire di sentieri urbani o di montagna. Fuor di metafora, ragionare sul perché rende più solido agire sul come. Per questa ragione sono stati registrati dei podcast, scritti dei racconti, girati dei cortometraggi, disegnati dei grafici, compilati album di ricette. Tutto materiale liberamente disponibile online.


La difesa di quello che abbiamo definito sopra «solido supporto culturale» non vuole certo sottovalutare l’azione, per quanto ci riguarda concretizzatasi nella condivisione di una mensa del riuso, preparata con entusiasmo e professionalità da futuri cuoche e futuri cuochi, che prima di cucinare hanno potuto condividere con coetanei e coetanee idee, esperienze e ricette. Un dialogo questo che è proseguito a pancia piena e di certo è destinato a continuare. Senza sprecare nulla, ci mancherebbe.