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La sfida. Con l'Isvi la cultura d'impresa mette radici tra gli under 35

Cinzia Arena mercoledì 8 settembre 2021

Diffondere la cultura d’impresa in un Paese, l’Italia, che vede le aziende ancora come un corpo estraneo rispetto alla società. L’Isvi (l’Istituto per i valori d’impresa) da più di trent’anni si occupa di ricerca e di formazione rivolte al mondo produttivo e all’università. Nato nel 1989 da un’idea dell’imprenditore Alberto Falck e di Giuseppe Crosti, dirigente d’azienda, l’istituto è da sempre un 'ponte' tra il mondo delle imprese e quello accademico. Tra i soci fondatori ci sono la Bocconi e la Cattolica di Piacenza. Oggi le aziende associate sono 33, tra le quali il quotidiano Avvenire e gruppi del calibro di Calzedonia e Smeg. L’obiettivo è far circolare i valori della buona impresa, sperando in un effetto di emulazione soprattutto tra i giovani che sono chiamati a costruire, sotto l’onda d’urto della pandemia, una nuova economia più equa e sostenibile. Da un anno il presidente è l’iraniano Ali Reza Arabnia, a capo della holding che controlla Geico Taikisha (società leader nella realizzazione di impianti per la verniciatura delle automobili). Il suo è un approccio filosofico alla missione dell’imprenditore che punta a capovolgere l’arte, tutta italiana, di lamentarsi. «Un leader degno di questo titolo deve avere coscienza della sua mortalità ma deve lavorare sull’immortalità della sua azienda, vale a dire non deve pensare al beneficio momentaneo ma pensare con grande responsabilità al futuro. In pratica deve comportarsi come un padre che fa del suo meglio per i suoi figli» è la premessa da cui parte Arabnia. In Italia lui ha realizzato il suo sogno personale di fare impresa. «Sono in Italia dal 1980 perché mia moglie è italiana, avevo un pregiudizio perché avevo studiato in Inghilterra. Vivendo qui e lavorando qui mi sono innamorato della cultura imprenditoriale italiana. L’Italia è un Paese speciale, ma è un paese dove c’è un problema». Quale? «La pessima abitudine di 'lamentarsi' continuamente, di dire 'siamo gli ultimi' e abbattersi. Anche nel lavoro. Il che produce un senso di inferiorità ad esempio rispetto ai tedeschi quando si vendono prodotti o servizi» spiega il presidente.

Per questo secondo Arabnia serve un vero e proprio 'bombardamento culturale' per far capire quanto gli italiani siano fortunati. «Gli accademici continuano a dire che l’Italia non va bene, che ci sono tanti problemi ma io penso che invece si debbano studiare gli elementi positivi e capire qual è 'il segreto' del successo italiano. Perché un Paese senza risorse naturali, con un sistema anti- impresa, una giustizia lentissima e un costo del lavoro altissimo riesce ad essere così importante dal punto di vista manifatturiero ed economico?» è la domanda da cui partire. Da qui è nata l’idea di una ricerca strutturata e divisa in varie discipline, con interviste ad imprenditori piccoli e grandi. Una sorta di libro bianco da cui prendere ispirazione per costruire un tessuto imprenditoriale più resiliente. «Vogliamo far vedere il bello che c’è in Italia: l’umanità, la creatività, l’energia – continua il presidente di Isvi –. Purtroppo si mischiano i concetti di Stato e Paese che sono due cose diverse». Il problema è la burocrazia che rende qualsiasi passaggio un’Odissea. «In America se fallisci riapri un’altra azienda in tempi rapidi, qui invece di vogliono anni per districarsi. Gli imprenditori italiani dovrebbero avere gli stessi anticorpi che hanno quando vanno all’estero e riescono a rendere tutto semplice. In media le loro aziende fanno il 70-80% di export andando in Cina, India, Indonesia dove gli ostacoli certo non mancano. Dovrebbero utilizzare un po’ di quella capacità di comprensione anche nel loro Paese, ma il fatto è che non si sentono compresi». Un altro punto di forza secondo il presidente Arabnia è la dimensione ridotta delle aziende italiane. «Un imprenditore guarda alla sua azienda come se fosse casa sua. Crea un rapporto familiare, garatisce, come facciamo noi alla Geico, una scrivania con il nome a tutti i dipendenti, non li tratta come numeri. Sono convinto che queste caratteristiche sono presenti nel dna degli italiani ma manca la fiducia nell’impresa Paese » sottolinea Arabnia. I progetti avviati in questo periodo di pandemia sono stati all’insegna della diffusione di buone pratiche e dell’analisi degli scenari futuri. Il primo si intitola 'Il segreto italiano': incontri periodici (dal vivo o durante la pandemia tramite webinar) avviato un anno fa e che dovrebbe concludersi a dicembre. «L’obiettivo di Isvi è fare cultura d’impresa – spiega Stefania Bertolini, direttore di Isvi – la nostra mission è far capire che le aziende ben gestite e ben governate sono un valore immenso per la società».

A conclusione del progetto che ha coinvolto una sessantina di aziende e accademici a fine anno verranno realizzati dei libri per gli studenti universitari ma anche per le scuole. «L’idea di un libro per bambini va nella direzione di spingere le nuove generazioni verso un mestiere, quello dell’imprenditore, poco conosciuto» aggiunge Bertolini. A settembre partirà invece il ciclo di incontri 'Pensare l’impensabile' una serie di approfondimenti su quello che avverrà nei prossimi 20 anni. «Siamo in un mondo sempre più complesso e imprevedibile e la pandemia lo ha dimostrato – spiega Bertolini – si tratta di sei incontri nei quali analizzeremo gli scenari demografici, geo-politici e organizzativi. L’emergenza sanitaria ha dimostrato che le aziende più preparate, ad esempio sul fronte della digitalizzazione, si sono trovate meno spiazzate di fronte ai cambiamenti imposti dal virus al modo di lavorare». Tutto dedicato ai giovani e all’innovazione un’altro ciclo di incontri dal titolo 'Crescita personale e sviluppo duraturo d’impresa' dedicato in particolare a rafforzare le soft skill sempre più preziose nel mondo del lavoro di oggi. Ci sarà infine un ulteriorie ciclo di incontri dedicato alla ricerca, 'Innovazione tecnologica e culturale' per far capire come la competitività dipenda da molti fattori.