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Transizione energetica. Il Kenya vuole diventare il leader globale della geotermia

Matteo Fraschini Koffi martedì 27 aprile 2021

Un pozzo dell'impianto geotermico di Menengai, in Kenya

Il Kenya sta diventando la prima potenza geotermica al mondo. L’obiettivo è raggiungere tale traguardo entro il 2030, quando il Paese sarà in grado di sfruttare al massimo il potenziale che sprigiona dalle placche tettoniche che costituiscono la Rift Valley. Secondo gli esperti, infatti, la meta si aggira intorno ai 5.530 megawatt (mw), cioè il 51 per cento dell’attuale capacità totale. «Le nostre risorse termiche sono stimate tra 7mila e 11mila Mw», ha affermato Jared Othieno, direttore esecutivo della parastatale Geothermal development company (Gdc). «Stiamo firmando diversi accordi per usufruire delle tecniche necessarie al nostro sviluppo geotermico. I finanziamenti – ha precisato Othieno – serviranno per l’esplorazione, la costruzione di pozzi e la produzione di energia».


Dei circa 7mila chilometri di Great Rift Valley, che si estendono dal
Libano fino al Mozambico, il territorio keniano ne ospita la maggior
parte. Il Paese è infatti letteralmente diviso in due. Attraverso questa
grande "fessura" escono nuvole di calore che le autorità locali
studiano fin dagli anni Cinquanta.

Dall’Unione africana (Au) all’Unione europea (Ue), dalla Nuova Zelanda al Giappone, passando per Australia e Cina, sono numerosi i Paesi coinvolti in quella che sarà la più grande centrale geotermica del mondo. Il settore fa parte delle cosiddette "energie pulite" che comprendono anche il sole e il vento. Dei circa 7mila chilometri di Great Rift Valley, che si estendono dal Libano fino al Mozambico, il territorio keniano ne ospita la maggior parte. Il Paese è infatti letteralmente diviso in due. Attraverso questa grande "fessura" escono nuvole di calore che le autorità locali studiano fin dagli anni Cinquanta. «I primi pozzi sono stati scavati negli anni Sessanta nell’area di Olkaria, circa 90 chilometri a nord della capitale, Nairobi – spiegano gli esperti –. La costruzione di grandi impianti è invece iniziata nel 2000 e nel 2019 è stata lanciata la produzione commerciale».

Il sistema geotermico della "rift" in Africa orientale ha una riserva di 15mila Mw, di cui 10mila si trovano in Kenya. In 10 anni il Paese si trasformerà quindi nella prima potenza geotermica in un’industria che, a livello mondiale, vale quasi cinque miliardi di dollari. Nelle località Menengai, Silai, Bogoria e molte altre, i geologi keniani e stranieri stanno continuando a esplorare il terreno per capire quali sono i punti più vantaggiosi per scavare e far fuoriuscire il calore. «Il settore geotermico richiede un’enorme quantità di finanziamenti che spesso spaventa gli investitori stranieri – commenta Cyrus Karingithi, segretario dell’Associazione geotermica del Kenya –. Scavare un pozzo costa almeno 6 milioni di dollari e se non si trova quello che si cerca allora li perdi tutti».

Addetti al lavoro in uno degli impianti geotermici già costruiti in Kenya - CC GeoRising via Flickr

Ingegneri e geologi si basano sul colore dell’erba che copre il terreno, un indicatore in grado di segnalare il calore della crosta terrestre. A volte si percorrono 50 chilometri in un giorno senza trovare il luogo adatto per scavare. Dopo cinque impianti costruiti negli ultimi decenni a Olkaria, entro un anno dovrebbe essere terminata la costruzione di Olkaria 6, uno stabilimento in grado di produrre 83,3 mw di energia elettrica pulita. Ci sono però diverse sfide in questo settore energetico che si definisce appunto "pulito". La prima riguarda le comunità locali, alcune delle quali sono già state trasferite in altre aeree attraverso cui non passano i tubi che servono a distribuire l’energia geotermica. Poi c’è il problema di non danneggiare l’ambiente di modo che flora e fauna non siano troppo colpite.

Bisogna anche affrontare la questione della separazione tra il vapore utilizzato per far girare le turbine di un impianto e produrre elettricità, e l’acqua che ricade, la quale è solitamente costituita da sostanze tossiche come litio, zolfo, arsenico e mercurio. Un’altra preoccupazione riguarda invece la potenzialità sismica che potrebbe svilupparsi nello scavare pozzi avendo anche gravi conseguenze sull’importante settore turistico che in Kenya copre quasi il 10 per cento del prodotto interno lordo. Da un punto di vista geotermico, il Paese è dietro Stati Uniti, Filippine, Indonesia, Turchia e Nuova Zelanda, ma davanti a Islanda e Giappone, e sta per superare Messico e Italia. Alle ambizioni keniane in questo settore si stanno infatti già ispirando Etiopia e Gibuti.