EconomiaCivile

parole guida. A (ri)partire dalla Complessità

di Massimo Folador mercoledì 24 marzo 2021

Ogni nostra azione, individuale o collettiva che sia, è inserita in un contesto: lo influenza e ne è profondamente influenzato. Una dinamica che vale in tutte le situazioni ma è evidente in quelle che riguardano quel 'sistema' aperto che è l’impresa. Una realtà che nasce per dare risposte alle esigenze sociali ed economiche del contesto dentro cui è inserita e che dalla bontà di questa relazione trae vitalità e sviluppo. Nonostante ciò Milton Friedman, uno dei massimi esponenti del neoliberismo, aveva sentenziato che l’adesione alle normative è l’unico legame dell’impresa con il contesto sociale e ambientale, dovendo essa rimanere libera di muoversi su ogni altro versante, a partire dal mercato chiaramente. Riletta oggi risulta essere una visione riduttiva, che non teneva presente gli effetti devastanti che il deturpamento dell’ambiente o alcune dinamiche sociali, come il decremento demografico, stavano già generando sull’economia stessa. Effetti che la pandemia odierna ha reso ancora più evidenti. Una visione che pensava di ridurre la complessità dentro a poche formule e di vivere l’economia come un mondo a sé stante. Il tempo ha raccontato tutt’altra storia.

La parola latina 'complexu' è all’origine del termine che approfondiamo oggi e dice letteralmente 'ciò che abbraccia più elementi e lo fa simultaneamente'. È complesso un 'complesso' musicale, in virtù delle dinamiche relazionali e professionali che ne determinano la crescita o lo scioglimento; lo siamo noi quando viviamo dei 'complessi' la cui origine è talvolta così arcana da essere difficilmente compresa e risolta. Lo è l’economia di oggi, sempre più alle prese con un contesto globale e la necessità di produrre un risultato economico sostenibile grazie ad un’azione simultanea e continuativa sul versante ambientale e sociale. Le ripetute crisi dei mercati, l’instabilità economica e finanziaria sono anche il risultato di una complessità che richiede ad ogni impresa un’analisi più approfondita della propria strategia e, necessariamente, operatività più ampie e articolate.

Fare impresa oggi significa accettare la sfida della complessità, abbandonare soluzioni semplicistiche e riduttive, per sviluppare un’analisi che sia nel contempo interdisciplinare e transdisciplinare, in grado di cogliere i singoli elementi ma, soprattutto, ciò che li mette in relazione. Serve che nelle Università e nelle aziende continuino a crescere competenze specialistiche, capaci di analizzare la profondità di ogni esperienza, ma venga data estrema importanza a quelle che sanno cogliere le interdipendenze che derivano dalle specializzazioni e le loro connessioni rispetto alle soluzioni finali. In altri termini se vogliamo che la cultura ambientale diventi strategica un’ecologista dovrà sporcarsi le mani con il conto economico, così come un sociologo o un antropologo dovranno saper misurare le ripercussioni che la loro attività produce

sul risultato economico di fine anno. Giuseppe Buffon, coautore dell’ultimo mio libro 'Verso un’economia integrale', ama dire che «anche un ingegnere è meno ingegnere se non comincia ad apprezzare la poesia». Un approccio sistemico che richiede la capacità di 'abbracciare' tutti gli elementi in gioco per arrivare ad una sintesi coerente, grazie soprattutto a delle relazioni interpersonali autentiche e capaci di un ascolto e di un dialogo continui. Lo aveva già capito san Benedetto nel ’500, quando, di fronte a decisioni importanti, esortava l’abate a convocare tutta la comunità e a trovare le soluzioni solo dopo aver ascoltato tutti i presenti, ivi compreso il più giovane. In un mondo che pare andare verso la specializzazione, l’approccio alla complessità ci costringe ad andare verso il dialogo tra le parti per giungere ad una sintesi che è 'processo' più che 'possesso'. E anche in questo Papa Francesco ha molto da dire a noi uomini d’impresa.