Economia

Welfare. «A rischio servizi per sei milioni di famiglie e 200mila occupati»

Redazione Romana giovedì 12 marzo 2020

Sono a rischio 200mila occupati che erogano servizi di welfare a sei milioni di famiglie. Lo scrivono Confcooperative – Federsolidarietà, LegacoopSociali, Agci Solidarietà, Fp Cgil, Cisl Fp, Cisl Fisascat, Uil Fpl e UilTucs in una lettera al presidente del Consiglio, ai ministri del Lavoro e dell’Economia, ai presidenti della Conferenza Stato-Regioni, dell’Anci e dell’Upi per lanciare l’allarme sui presidi sociosanitari, sociali ed educativi che il mondo della cooperazione sociale sta garantendo.

«A seguito dei decreti emanati per fronteggiare il fenomeno del Coronavirus – si legge nella lettera – le parti firmatarie del contratto nazionale Cooperazione sociale segnalano con forza che accanto alla necessità di sostenere tutti i presidi sanitari, tema che il governo sta affrontando seriamente e con continuità, vi è anche l'esigenza parallela, non meno rilevante, dei presidi sociosanitari, sociali ed educativi che il mondo della
cooperazione sociale ha garantito e che ora rischia il tracollo. Si tratta di servizi che hanno una finalità di interesse generale che tutelano sei milioni di famiglie. Il tracollo di tali servizi ha evidenti ricadute occupazionali, al momento stimate in 200mila lavoratori, certamente come in altri settori. Ma si tratta intanto di numeri rilevanti, centinaia di migliaia di persone, strettamente connessi ai divieti e alle restrizioni
prodotti dai decreti e diffusi in tutta Italia. Ma quel che è più grave - aggiungono - è che le attività di interesse generale garantite dalla cooperazione sociale hanno dirette ricadute su persone e famiglie che si vedono negare la possibilità della presa in carico di anziani e disabili a causa della chiusura dei centri diurni, o l'interruzione dell'assistenza e cura domiciliare, oltre che le interruzioni dei servizi educativi». «Poiché questi servizi di interesse generale consentono a milioni di italiani di avere dei sostegni reali e concreti - sottolineano cooperative sociali e sindacati - riteniamo e auspichiamo che tale settore sia tutelato in modo attento ed efficace prevedendo l'utilizzo di risorse già appostate a bilancio con i contratti stipulati con la Pubblica amministrazione, la cui interruzione non può ricadere sulle cooperative sociali, sui loro soci lavoratori e dipendenti. Si tratta di contratti, già stipulati, che le Pa stanno interrompendo, ma per i quali sono stati appostati fondi pubblici e sui quali le famiglie ricevono servizi specifici».

Pertanto, sottolineano ancora, «è fondamentale predisporre un dispositivo normativo che consenta (e anzi obblighi), in modo chiaro ed esplicito, le pubbliche amministrazioni a erogare in continuità le quantità previste dagli accordi vigenti e già appostate nei bilanci anche in regime di sospensione o chiusura delle attività. Tale soluzione alternativa ai meri ammortizzatori sociali o con un utilizzo in forma congiunta, potrebbe essere adottata attraverso una precisa disposizione governativa per garantire retribuzioni a tutti i lavoratori del settore, dare respiro finanziario alle cooperative e allo stesso tempo produrre un ritorno economico allo Stato in termini di gettito fiscale e non ultimo liberare maggiori risorse per sostenere i settori gravemente colpiti dalla crisi. Siamo altresi disponibili anche a ritirare e ricalibrare i servizi per i contratti già in essere che hanno per oggetto attività sociosanitarie, sociali ed educative, ricalibrandole e modificandole in base alle attuali esigenze e modalità di erogazione sempre nella massima sicurezza di utenza e lavoratori. A tal proposito - concludono - riteniamo fondamentale che le cooperative sociali, nello svolgimento dei servizi essenziali alla persona e negli interventi nei presidi sanitari possano contare sulla distribuzione dei Dpi da parte delle Asl e/o della Protezione civile al pari dei servizi sanitari pubblici al fine di non incorrere nel rischio di interruzione del servizio».