Economia

Bes. Indice della felicità, «misurazioni più accessibili»

Silvia Guzzetti mercoledì 10 giugno 2015
La carriera e la vita di Saamah Abdallah sono state guidate dal desiderio di migliorare il mondo. «Per questo motivo – racconta – ho deciso di abbandonare il dottorato di ricerca in bilinguismo che stavo facendo a Barcellona e ho cominciato a lavorare come volontario tra gli immigrati in Spagna e poi per i gesuiti in Polonia, organizzando gruppi di studio su quello che rende la nostra vita degna di essere vissuta. Tutto ciò prima di tornare a studiare politica all’University college di Londra». Oggi Saamah è un ricercatore famoso. Un esperto di felicità – o di 'benessere' – al quale si rivolgono l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), il governo britannico e l’Eurostat quando vogliono sapere quali siano i Paesi nel mondo in cui si vive bene, a lungo e in modo sostenibile senza sfruttare troppo il Pianeta finendo per ferirlo. «Sono stato anche in Vaticano, qualche settimana fa, a fare una presentazione», continua. «Collaboro con economisti e statistici italiani esperti in materia come Filomena Maggino e Enrico Giovannini », spiega ancora il dottor Abdallah, che oggi lavora per la 'New Economics Foundation', charity divenuta celebre per aver lanciato l’'Happy Planet index', una classifica dei Paesi più felici del mondo.Secondo il Nef, benessere nella sua piena esplicitazione vuol dire una settimana lavorativa di quattro giorni, soltanto ventuno ore alla settimana, ma per Saamah questo rimane, per il momento, soltanto un sogno. «Molti miei colleghi ce la fanno, io no, anche perché ho una bambina di nove mesi e gli affitti a Londra sono altissimi», confida. «Però un paio di anni fa ho rifiutato un aumento di stipendio proprio perché non volevo lavorare più duramente di quello che già facevo». Al lavoro questo esperto di felicità arriva in bicicletta. Per diversi anni, poi, non ha usato l’aereo, spostandosi in treno, sia per vacanza sia per lavoro. «Unica eccezione per raggiungere la città di Santa Monica negli Stati Uniti», precisa Saamah, «che ha ricevuto un milione di dollari da Bloomberg per rimettere il benessere al centro delle proprie politiche e ci ha chiesto di aiutarli affidandoci un progetto: ho pensato che il lavoro che stavamo facendo per loro era così importante che avrebbe compensato il danno ambientale provocato dal viaggio in aereo». È stato nell’ormai lontano 2006, con il lancio dell’Happy Planet Index, che il Pil è finito sotto accusa, 'incolpato' di non essere una misura valida di progresso. Da quel lontano dibattito, scatenato dal Nef, ha preso naturalmente spunto anche il Bes, il sistema di misurazione del Benessere equo e sostenibile. Ancora oggi questo think tank sulle rive del Tamigi è un punto di riferimento per l’Istat, oltre che per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, per il governo britannico e per Eurostat tutti impegnati a misurare la nostra felicità con diversi indicatori. «Una delle difficoltà che, secondo noi, si possono incontrare con uno strumento come il Bes – continua Abdallah – è data dal fatto che ha oltre cento indicatori, mentre il Pil è una cifra unica. Per i giornalisti, e anche la gente comune, diventa troppo complicato esaminare centinaia di dati invece di uno soltanto. Lo stesso problema esiste in Gran Bretagna, dove il governo ha cinquantasei indicatori di benessere, e, anche, all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e a Eurostat ». Per il Nef, quindi, le misure del benessere «vanno semplificate e ridotte di numero. Soprattutto se vogliamo raggiungere il grande pubblico». Per questo motivo, spiega l’esperto di felicità, «stiamo lavorando a cinque o sei indicatori che possano fare il titolo di un giornale. Puntavamo a un dato solo, ma ci siamo accorti che era un obiettivo troppo ambizioso. Gli indicatori sono top secret fino al prossimo mese, ma posso anticipare i settori dai quali verranno ricavati: tenore di vita ovvero benessere materiale, impatto ambientale, servizi pubblici, benessere mentale delle persone e disuguaglianza tra ricchi e poveri». Insomma, nel 2006, il Nef ha attirato, per la prima volta, l’attenzione del grande pubblico sul problema del benessere trascinando il Pil sul banco degli imputati e generando un dibattito che ha portato al Bes e ad altri indicatori di felicità. Oggi sta cercando di semplificare il problema, un compito difficile per governi e agenzie di statistica. «Tocca a noi che siamo un gruppo di esperti indipendenti dal potere politico – conclude Saamah Abdallah – il compito di ridurre il numero degli indicatori della felicità, semplificando il problema. Se i governi o anche le agenzie di statistica decidessero di privilegiare alcuni settori rispetto ad alti verrebbero accusati infatti di faziosità politica e di partigianeria».