Economia

Cop23 a Bonn. Accordi sul clima al via, la Ue prova a fare sul serio

Vincenzo Savignano giovedì 9 novembre 2017

Centinaia di delegati di 195 Paesi stanno arrivando alWorld Conference Center di Bonn. A pochi chilometri si trova 'Tagebau Hambach', uno dei più grandi centri di estrazione di carbone della Germania. Proprio lì lunedì si è svolta una manifestazione, organizzata da oltre 100 organizzazioni della società civile tedesca, per chiedere la chiusura immediata di tutte le centrali a carbone del Paese, centrali considerate una delle principali cause dell’inquinamento atmosferico. «Sì alla giustizia climatica, no al carbone», è lo slogan che i manifestanti hanno scandito a Tagebau Hambach e per le strade di Bonn dirigendosi verso il centro Onu dove sono riuniti i rappresentanti di 195 Paesi più l’Unione europea per la conferenza COP23, con l’obiettivo di dare applicazione all’accordo di Parigi firmato nel 2015. «Affrontare il cambiamento climatico significa eliminare rapidamente i combustibili fossili, tra cui la combustione da carbone», si legge nel comunicato diffuso dai dimostranti prima della manifestazione.

«Il carbone rappresenta circa un terzo del consumo energetico mondiale e resta la principale fonte di produzione di elettricità nel mondo, pari al 40%. La domanda di carbone ha subito un’inflessione, specialmente negli Stati Uniti, ma a livello mondiale dovrebbe aumentare almeno fino al 2030, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA). Una crescita che minaccia gli obiettivi dell’accordo di Parigi di contenere l’aumento della temperatura terrestre», ha sottolineato dopo la manifestazione il presidente di Wwf Deutschland, Eberhard Brandes. Sussistono, infatti, differenze tra gli obiettivi fissati dagli accordi e i contributi nazionali volontari. Serve uno sforzo in più da parte degli Stati per contenere l’aumento della temperatura globale entro fine secolo, rispetto ai livelli preindustriali, entro i 2 gradi. Tenendo presenti gli attuali piani di riduzione governativi, invece, si prospetta un aumento di 2,73 gradi entro fine secolo. Ángel Gurría, segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Oecd), ha ricordato, la settimana scorsa, come gli sforzi per ridurre le emissioni e prevenire peggiori cambiamenti del clima siano «una corsa contro il tempo».

A Bonn, fino al 17 novembre, i negoziatori degli Stati cercheranno di instaurare le condizioni affinché alla prossima conferenza, che avrà luogo in Polonia, si possa trovare un modo per implementare gli accordi di Parigi. La presidenza della conferenza di Bonn è affidata alle isole Fiji, il cui primo ministro, Frank Bainimarama ha chiesto un’azione più urgente per ridurre le emissioni. Ma la strada verso un accordo non è in discesa: Cina, India e altre economie emergenti hanno chiarito che non accetteranno imposizioni. Secondo questi Paesi, infatti, nessuno dovrà essere costretto ad aumentare i propri contributi all’applicazione degli accordi di Parigi: un maggiore impegno dovrà comunque restare volontario. Bonn è comunque ritenuta una tappa decisiva per puntellare l’accordo di Parigi e procedere verso i regolamenti per attuarlo, dopo la clamorosa decisione di Washington di uscirne. Il temuto effetto domino, però, non c’è stato: Usa e Siria sono gli unici Paesi delle Nazioni unite a essersi chiamate fuori dall’intesa. E anche sugli Stati Uniti la speranza di un ripensamento rispetto al passo indietro non è affatto sepolta. «Tecnicamente, come è noto, non potranno uscirne prima del 2020, c’è tempo, e tante cose possono ancora accadere», ha affermato il ministro tedesco dell’Ambiente, Barbara Hendricks che ha ribadito l’impegno della Germania nella produzione di energie alternative e nell’economia verde.

«La green economy – ha sottolineato Edo Ronchi, che fa parte del Consiglio Nazionale (italiano) della Green Economy – sta andando avanti; regge in Europa e c’è in particolare una spinta interessante da parte della Francia, sta diventando un elemento di forza per la Cina e, nonostante la posizione del Presidente Trump, anche gli Stati Uniti puntano ancora sul green». Intanto a Berlino l’allarme sul clima crea un chiaro rimbombo sulle trattative in corso fra Unione democristiana (Cdu/Csu) Liberali (Fdp) e Verdi per formare un eventuale governo. L’Fdp ha sempre detto di riconoscersi negli obiettivi di Parigi, ma pur volendo rispettare gli obiettivi posti per il 2030 e quelli per il 2050, vorrebbe rallentare le politiche per gli obiettivi del 2020. I Verdi, dall’altro lato, non demordono: «Il clima va tutelato, altrimenti i colloqui termineranno velocemente», ha ribattuto la Verde Simone Peter. Ma anche Angela Merkel ha a cuore le politiche sul clima: alla vigilia della Conferenza di Bonn ha fatto sapere che quello della tutela del clima è uno dei temi che più stanno a cuore all’Unione democristiana, nel tavolo per il prossimo governo.