Economia

Intervista. Boccia: «Usiamo questi parametri nella prossima manovra»

Eugenio Fatigante giovedì 3 dicembre 2015
Francesco Boccia, presidente Pd della commissione Bilancio della Camera, presente ieri all’Istat, è uno dei deputati che crede di più nello 'sviluppo' del Bes in termini di politiche economiche. Che speranze ci sono di 'far pesare' di più il Bes? Nel 2016 approveremo la riforma del bilancio dello Stato, completando un percorso iniziato nel 2009. Questa è difatti l’ultima legge di stabilità così fatta della nostra storia, nel senso che va in pensione. Il mio auspicio è che nella prossima manovra, fatta di una legge 'esile' e di decreti collegati, Pil e Bes possano viaggiare insieme, in modo da permettere finalmente alla politica un confronto nuovo sulla crescita del Paese anche sul piano della qualità della vita e non solo di indicatori economici sempre più obsoleti e dei portafogli industriali. Ma ci sono speranze effettive? Se c’è una cosa che mette d’accordo tutti i gruppi parlamentari è proprio il Bes. C’è già la proposta di legge presentata a febbraio 2015 da Marcon (Sel), me e i rappresentanti di tutti i gruppi, M5S e Lega compresi, progetto che ho sempre condiviso: ora speriamo di incorporarla appunto nel ddl di riforma del bilancio. Va trovato un accordo con il governo. E ci sono chance? Con l’esecutivo ci siamo su tante cose oggi apparentemente lontane come far coincidere la cassa con la competenza e, in campo fiscale, l’accertamento con le riscossioni. Il bilancio che avremo dal 1° gennaio 2017 sarà molto più europeo. Ma su altri temi la discussione è ancora molto aperta. Per esempio?  Sulle clausole di salvaguardia. Io sono fermamente contrario a esse, perché ritengo che siano 'figlie' di una fase straordinaria del nostro Paese, l’ex ministro Tremonti le dovette subire. Io vorrei evitare di lasciare in eredità un bilancio ordinario e poi quello condizionato dalle clausole, perché questo incide pesantemente sulle scelte sistematiche di politica economica. Questa posizione all’Europa non piace, ma resto convinto che se certe misure non funzionano non si può farle pagare ai cittadini attraverso le clausole, ma è giusto che si ritorni in Parla- mento e che la politica ci metta la faccia facendo nuove scelte. Scusi, qual è il nesso con il Bes?  Tutta questa roba è figlia del fatto che abbiamo un bilancio dello Stato troppo ancorato al Pil. Le discussioni sullo 'zero virgola', se chiudiamo il 2015 allo 0,8 - come io credo - o allo 0,9%, francamente non appassionano nessuno. Spero davvero che fra un anno si possa parlare invece di quali indicatori del Bes potranno diventare vincolanti rispetto alle scelte di bilancio, come l’accessibilità ai servizi o alcuni fattori di qualità della vita. E vorrei condizionare gli investimenti pubblici a questi indici e associare la politica dei costi standard a quella dei fabbisogni. Sogno un Bilancio che coniughi lavoro e conciliazione dei tempi di vita, ambiente e livelli di formazione. Perché?Il nostro Paese si è così appassionato al tema della quadratura dei conti che ha discusso solo di costi. Con risultati del tipo dell’Alta velocità ferrovia, che è stata pagata in gran parte dalla fiscalità generale ma è finita per privilegiare alcuni servizi che si concentrano nella parte del Paese a più alta densità economica, dimenticandosi la parte sotto Napoli. Sono dibattiti che abbiamo il dovere di fare, perché se tutto si riduce solamente alla cassa tanto vale vendere un altro po’ di Eni o Enel, ma non privatizzare in fretta e furia Fs. Se attraverso il Bes riusciremo a fare questi dibattiti, avremo cambiato l’approccio culturale al bilancio dello Stato. Ma a lei perché piace il Bes?Perché consente in qualche modo di analizzare maggiormente le cause delle disuguaglianze, sul piano sociale, economico e territoriale. E quindi di adottare scelte politiche, anche in Europa. La via maestra non può essere il piano Juncker che finora è una maxi-garanzia da 21 miliardi: solo un pezzo di carta, senza ancora nessun investimento. Sempre l’Europa finisce nel mirino? Ci finisce perché un tempo, quando si parlava di Europa, si parlava di una Ue riformista. Adesso, soprattutto sulle grandi questioni che impattano sulla vita economico- sociale dei Paesi, è diventata - purtroppo conservatrice, dagli eurobond alla tassazione dell’economia digitale. E sul Bes non siamo soli, è una battaglia comune anche per Paesi come Francia e Spagna. Per questo motivo dico 'intanto iniziamo': cominciamo a muovere il 'brontosauro Europa' e lasciamo che gli altri Paesi ci seguano. Guardiamo anche al credito: nonostante gli sforzi di Draghi, i soldi non arrivano agli italiani per folli regole sulla capitalizzazione delle banche. Ma se vogliamo far passare risorse dal piano superiore a quello inferiore, queste regole dobbiamo cambiarle, specie quando si tratta di finanziare piccole e medie imprese che sono il nostro Dna.