Economia

BANCA AL BIVIO. La Libia compra. Unicredit taglia

Pietro Saccò giovedì 5 agosto 2010
Nel «bancone» Unicredit non c’è spazio per tutti. Non per tutti i 56mila dipendenti italiani del gruppo, almeno. Nel primo incontro con i sindacati dopo il via libera definitivo al piano di riorganizzazione del gruppo l’amministratore delegato Alessandro Profumo ha spiegato che nel progetto sono previsti 4.700 esuberi.La cifra, confermata ufficialmente dalla banca solo la sera, è stata annunciata dal sidacato indipendente Fabi. È stato Lando Sileoni, il segretario generale, a spiegare che Unicredit gli ha parlato di 4.700 tagli tra il 2011 e il 2013. Seicento sono dipendenti da pensionare, 4.100 sono esuberi. La cifra supera «di gran lunga le previsioni e le attese sindacali» dicono dalla Fiba-Cisl chiedendo che un progetto simile sia almeno bilanciato «dalla creazione di nuova occupazione per i giovani, dalla stabilizzazione di tutte le lavoratrici e lavoratori a termine, dalla solidarietà settoriale».Anche Fisac-Cgil e Uilca sono preoccupate. Il negoziato è sicuramente partito molto male. È dovuto già intervenire anche il ministro del Lavoro. «Sarà doverso un confronto approfondito – ha avvertito Maurizio Sacconi – sono vietati in tutti i modi atti unilaterali, le parti dovranno entrare nel merito». E già sono partiti i confronti Profumo-Marchionne. Il segretario della Fabi ha fatto per primo il paragone: «L’effetto Marchionne Fiat ha purtroppo contagiato, con un effetto domino, anche il Gruppo Unicredit» che con questa strategia «si pone politicamente e contrattualmente fuori da quella concertazione recentemente rivendicata dal nuovo presidente dell’Abi» ha detto Sileoni, accusando Profumo di volere «un contratto nazionale a parte, perché intende in questo piano industriale modificare profondamente le attuali previsioni contrattuali in tema di assetti inquadramentali, mobilità territoriale e professionale, nuove flessibilità d’ingresso sul lavoro».Del contratto dei bancari l’Abi e i sindacati discuteranno dopo la pausa estiva. Nel frattempo il confronto Marchionne-Profumo sembra particolarmente riuscito, almeno per un altro motivo: l’internazionalizzazione. Come Fiat, Unicredit è una banca sempre più internazionale, come attività (in Italia ottiene il 40% dei suoi ricavi) ma anche come controllo. Ieri la Consob ha aggiornato le cifre sull’azionariato della seconda banca d’Italia: la Libyan Investment Authority (Lia), il 28 luglio, ha comprato azioni della banca di Profumo e ne controlla il 2,07%. In Unicredit il primo azionista (da fine giugno) era già un fondo arabo, Aaabar, la finanziaria statale degli emiri di Abu Dhabi. La Banca centrale libica, assieme alla Libyan Arab Foreign Bank, ha un altro 4,98%. Sommato al 2,07% della Lia il pacchetto di azioni in mano allo Stato di Gheddafi ammonta al 7% della banca, mentre il 12% di Unicredit appartiene a nazioni arabe. Si può anche notare che con il 4,99% del fondo americano Blackrock e il 2,048% dei tedeschi di Allianz gli "stranieri" hanno quasi un quinto delle azioni. Ma basta quel 12% arabo a superare il 12% scarso (precisamente 11,785% dice la Consob) in mano alle Fondazioni che gestiscono Unicredit. Con la differenza che questi azionisti, almeno per ora, non vogliono comandare la banca, ha assicurato qualche giorno fa il presidente Dieter Rampl. Il loro è solo un investimento finanziario. Una scommessa poco fortunata, almeno ieri: le azioni Unicredit – dopo la presentazione dei conti – sono scese del 2,75% a 2,12 euro.