Economia

Le riforme. Privatizzazioni, rincari e licenziamenti. Così Milei svende l'Argentina

Paolo M. Alfieri venerdì 29 dicembre 2023

L'Argentina protesta. Lavoratori e sindacati in Plaza Lavalle a Buenos Aires per contestare le scelte fatte da Milei di riformare 366 norme economiche

Un Paese in vendita, schiaffeggiato da un’iperinflazione che nel 2023 si è assestata al 210%, un Paese in cui si annunciano le privatizzazioni selvagge delle aziende statali, la cessione di enormi aree di terra ai grandi investitori stranieri, il conferimento di appalti e concessioni anche alle multinazionali, in mezzo al licenziamento di 7mila dipendenti pubblici, per iniziare. Don’t cry for me, Argentina. Ma piange eccome, l’Argentina del neo presidente Javier Milei e del suo decretone, il testo con le oltre 300 deroghe sulla deregulation e le privatizzazioni che potrebbe entrare in vigore già oggi e che ha scaldato le piazze non solo a Buenos Aires, ma anche a Rosario, Santa Fe, Mar del Plata. Inoltre proprio ieri sera il principale sindacato argentino (la Cgt) ha proclamato uno sciopero generale per il 24 gennaio contro le riforme di Milei.

Per il leader ultraliberista di destra però, il mega-decreto, che i critici tacciano di incostituzionalità, è la “base per la ricostruzione”, la panacea ai gravi squilibri macroeconomici e sociali del Paese sudamericano. Un assunto che resta tutto da dimostrare e che per ora è, soprattutto, un enorme rebus sociale.

Commercio, servizi, industria: nessun settore verrà “risparmiato” dal provvedimento che già nel primo articolo dichiara “l’emergenza pubblica in materia economica, finanziaria, fiscale, amministrativa, previdenziale, tariffaria, sanitaria e sociale fino al 31 dicembre 2025”. Lo Stato non potrà più privilegiare le imprese locali per gli appalti né il mercato interno avrà più quote di beni privilegiate: una svolta sulla politica estera commerciale giustificata con la necessità di aderire alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale del commercio e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). La stessa compagnia aerea di bandiera Aerolineas Argentinas verrà messa sul mercato.

Il nuovo pacchetto prevede l’abrogazione della legge che regola gli affitti, e che impediva tra l’altro ai proprietari di aumentare i prezzi più di due volte l’anno, e delle norme che cercavano di frenare la speculazione nel settore della vendita al dettaglio, in un momento in cui i prezzi dei beni di prima necessità sono in costante aumento. Inoltre, il decreto abroga alcune norme che tutelano i lavoratori, estendendo il periodo di prova da tre a otto mesi, modificando i sistemi di indennizzo per i licenziamenti ingiustificati a favore delle aziende e rinegoziando i contratti collettivi in vigore dal 1975. «Tutte le aziende statali devono essere chiuse. Tutte le aziende statali sono in perdita. Perché devo sostenere la televisione e pagare stipendi scandalosi, quando ci sono bambini che hanno fame? Lo Stato non ha motivo di partecipare all’economia», ha tuonato Milei, che mercoledì ha inviato al Congresso un ulteriore progetto di “legge omnibus”, prevedendo di fatto il trasferimento al potere esecutivo di ampie facoltà legislative su diverse materie. Si punta, tra l’altro, a indurire le misure contro le proteste e si introduce il “divorzio lampo”, che implica separazioni coniugali rapide in caso di comune accordo, senza l’intervento della magistratura o degli avvocati.

Il “decreto d’emergenza“ economico voluto dal presidente è stato pubblicato il 20 dicembre in Gazzetta Ufficiale. Il Congresso può approvare oppure respingere il “decretone” nella sua interezza, senza poter aprire una discussione sui dettagli del suo contenuto, in conformità con le norme che regolano la gestione dei decreti d’urgenza. In attesa che lo faccia, intanto, la sfilza di misure entrerà in vigore oggi. In caso di bocciatura successiva da parte del Congresso, Milei ha già annunciato che “ovviamente” indirà un referendum sul decreto.

Quello appena trascorso è stato un Natale di austerità per gli argentini. La terapia economica choc del presidente eletto a novembre è iniziata con una svalutazione del 54% del cambio ufficiale del peso, a quota 800 pesos per dollaro. Una mossa che ha ulteriormente impennato i prezzi, con l’inflazione passata, secondo Ecolatina, dal +12,8% mensile di novembre al +25% di dicembre, dato che porta al +210% di inflazione su base annuale. «Questa settimana abbiamo dovuto aggiornare i prezzi due volte al giorno, perché i nostri fornitori continuavano a mandarci nuovi listini – racconta Rosa Alvarez, che lavora in una gastronomia di Buenos Aires –. Certo, questa è l’Argentina, quindi sono abituata all’inflazione, ma non ho mai visto niente del genere».

Secondo il quotidiano Infobae, i prezzi di riso, pane, pasta e latte sono cresciuti del 50% in appena una settimana dopo la svalutazione del peso. Lo stop ai sussidi su energia elettrica e trasporti sta facendo il resto, specie per le fasce più deboli della popolazione. Anche il prezzo della benzina, da inizio dicembre, è salito dell’80%, mentre la carne di manzo, piatto forte di molte tavole natalizie e dei barbecue di fine anno, è aumentata del 40%, fino a toccare i 6mila pesos al chilo nelle macellerie di Buenos Aires.

I salari della gran parte degli argentini non tengono il passo con gli aumenti. I lavoratori con contratti regolari avevano uno stipendio medio di 420.700 pesos a ottobre, un dato che non riflette però quanto entra mensilmente in tasca ad almeno metà dei lavoratori, impiegati nell’economia informale e che tendono ad essere pagati molto meno. A dicembre, il salario minimo ufficiale era di appena 156mila pesos.

Secondo gli esperti è difficile prevedere una ulteriore spirale inflattiva nei prossimi mesi, considerato che dietro l’angolo è prevedibile la recessione. I consumi sono destinati a crollare, perché le famiglie dovranno privilegiare spese obbligate come quelle per l’energia. Già a novembre i consumi sono calati del 6,9% su base mensile, secondo un report della Camera di commercio e servizi argentina. JPMorgan Chase prevede una contrazione dell’economia del 3% nel 2024.

Quattro argentini su dieci già oggi vivono in povertà, una condizione che rischia di risucchiare sempre più persone con l’aumentare della crisi. Per molti argentini ormai è anche impossibile trovare casa. A Buenos Aires, secondo dati ufficiali, una casa su sette ormai viene lasciata sfitta perché i proprietari si rifiutano di affittarle a chi può pagare solo in pesos, e non in dollari, davanti a una tale impennata dell’inflazione, che aumenta anche il rischio di morosità. Si preferisce, al limite, convertire tutto in bed and breakfast per gli interessatissimi turisti stranieri. Quanta affinità, con quel che potrebbe presto accadere al resto dell’economia argentina.