Economia

POLITICA ECONOMICA. L'Europa va avanti: tassare banche e finanza

Giorgio Ferrari venerdì 18 giugno 2010
E venne l’ora delle banche. Guidati da una Merkel in crisi di popolarità con l’immediata adesione della Francia, i Ventisette capi di Stato e di governo riuniti nella capitale belga si sono trovati d’accordo su un punto chiave: la crisi dei mercati internazionali è stata provocata principalmente dal comportamento fraudolento di molte banche. Siano dunque esse a pagarne il prezzo, almeno per una parte e se il resto del mondo non ci sta l’Europa potrebbe andare avanti da sola. Non potendo accollare ai singoli istituti di credito l’esatto ammontare delle colpe pregresse, si fa strada l’idea di un prelievo, una tassazione su tutte le banche quale contributo al costo della crisi. «Bisogna tassare chi ha messo a rischio il mercato» ha detto la Merkel, rilanciando anche l’idea di una tassa sulle transazioni finanziarie. L’ipotesi è più facile a dirsi che a tradursi in realtà, ma è stata decisa a conclusione del vertice e verrà portata di peso al G20 canadese dei prossimi giorni. «Dobbiamo prepararci per il G20 e il G8 – dicono i leader europei – in modo da andare lì con una posizione europea la più unita possibile, che include una tassazione della leva del credito delle banche e dei mercati finanziari». E a conferma che le banche si trovano nel mirino della Ue, ecco che il presidente della Commissione europea Barroso si è maliziosamente detto «fiducioso della capacità di reazione del sistema bancario europeo e per questo fortemente a favore della pubblicazione dei risultati degli stress test banca per banca per rispondere ai sospetti infondati sulla capacità delle banche di fare fronte alle difficoltà in uno scenario economico negativo».Recentemente il ministro Frattini ha chiarito che l’Italia non è contraria alla tassazione, pur ritenendo necessario che i principi che lo ispirano siano stabiliti nell’ambito di un quadro europeo e che il prelievo sia sui guadagni e non sul capitale degli istituti bancari. «Il sistema bancario italiano – dice – non ha avuto un ruolo negativo, e quindi vi sono meno motivazioni per intervenire che in altri Paesi costretti a comprare o salvare le banche». Sulle modalità del prelievo c’è ancora grande incertezza, ma dal Consiglio europeo non ci si può aspettare molto di più che un indirizzo politico. Preoccupazione primaria dei leader rimane quella di procedere con celerità sul fronte del risanamento delle finanze pubbliche, con il duplice obbiettivo di arginare l’impennata del debito pubblico senza però soffocare la crescita. Non pochi vedono in ciò una contraddizione ed anche un ritorno a vecchi schemi thatcheriani, con l’effetto di far pagare il conto della crisi ai soggetti più deboli. Ma la strada per i Ventisette pare obbligata: «Tutti gli Stati membri sono pronti, se necessario a prendere misure aggiuntive per accelerare il consolidamento», dicono e applaudono alle manovre taglia-deficit, le uniche ammissibili in quest’era di crisi prolungata. Niente di fatto invece sul fronte della governance: la Commissione presenterà un suo piano entro la fine del mese, ma il britannico Cameron e in parte tedeschi e francesi hanno storto il naso di fronte all’ipotesi di un vero e proprio direttorio dell’economia europea. Meglio che ognuno badi a sé, hanno concluso, senza dirlo ufficialmente. Così come sotto traccia è rimasto il caso spagnolo, di cui si è ripetutamente parlato, ma per il quale si è deciso di tenere un profilo basso. Non è bastato: il commissario alla Concorrenza Joaquin Almunia ha recisamente negato che esista un piano di salvataggio della Spagna da 250 miliardi di euro. Eppure qualche passo avanti, questo vertice, lo ha fatto davvero.