Economia

POLITICA ECONOMICA. Taglio del 10% ai maxi stipendi pubblici

Eugenio Fatigante giovedì 20 maggio 2010
Un taglio temporaneo (2-3 anni) a tutti gli stipendi dei dirigenti pubblici superiori ai 100mila euro annui. Silvio Berlusconi rinuncia ai propositi di riduzione delle tasse («Non è possibile ora») e pensa piuttosto a un drastico taglio delle retribuzioni più ricche. L’ipotesi colpirebbe non più di 13-15mila persone, per lo più magistrati, prefetti, diplomatici, docenti universitari e dirigenti di 1ª e 2ª fascia.L’ultima novità della manovra biennale da 25-28 miliardi è stata portata ieri sera da Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, al faccia a faccia con Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli. Sarebbe la traduzione pratica di quel «solo un aperitivo» con cui Tremonti aveva commentato martedì a Bruxelles il taglio alle indennità parlamentari. La composizione del pacchetto si va definendo e vede sempre un posto di primo piano per le pensioni, come dimostrava ieri la presenza del presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, al nuovo incontro informale tenuto da Tremonti, assieme a Sacconi e Calderoli, con i vertici di Confindustria (Emma Marcegaglia) e di Cisl e Uil, escludendo ancora la Cgil. Non ci saranno stravolgimenti, aveva detto Tremonti, ma il dimezzamento delle "finestre" di uscita sembra davvero probabile. Inoltre il governo è orientato a reintrodurre, dal 2011, il ticket di 10 euro sulla diagnostica (risparmio: 850 milioni) e a confermare il blocco dei contratti del pubblico impiego, già scaduti a fine 2009 (mentre perde colpi il rinvio del pagamento delle buonuscite).L’alternativa al contributo del 10% per gli statali più ricchi potrebbe essere il blocco di ogni scatto automatico (escluso però per gli insegnanti dal ministro Gelmini). Tutto l’opposto, insomma, di quello sfumato taglio delle tasse che, fa sapere Berlusconi, si punta a recuperare come «dividendo del federalismo fiscale». Quel che già sembrava una certezza lo diventa ancor di più nelle parole del presidente del Consiglio, malgrado i commercialisti ritengano che ormai la pressione fiscale sull’"economia non sommersa", cioè sugli onesti, sia arrivata l’anno scorso al livello-primato del 51,57% dal 50,77 del 2008. Berlusconi precisa che «sarebbe una presunzione fissare ora delle date sul calendario» per tagliare le tasse, «in nessun Paese d’Europa si sta parlando di farlo, né lo si pensa da parte dei governanti più responsabili».Il sentiero "virtuoso" per i conti pubblici si fa, in ogni caso, sempre più stretto. Lo dice Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle Entrate, per il quale «in una fase difficile come questa, o lo Stato riesce a incidere profondamente sull’evasione fiscale o si mantiene elevato il rischio di difficoltà per il Paese». Lo conferma, soprattutto, la Corte dei Conti in un nuovo rapporto (sul "Coordinamento della finanza pubblica"), dove si denuncia un problema di «sostenibilità di medio termine» dei conti «legata alla caduta cronica del Pil»: basti ricordare che, secondo i calcoli del primo Dpef, solo in questa legislatura saranno "bruciati", quale effetto della recessione, 130 miliardi di crescita potenziale in 5 anni. Non solo: secondo quanto riferito dal presidente di sezione Luigi Mazzillo, sui conti incombe pure «un rischio credibilità» dato che «le manovre sono sempre più coperte da entrate che arrivano proprio dalla lotta agli evasori». Conseguenza, questa, del fatto che sulla spesa pubblica «si è già raschiato il fondo del barile»: ovvero sulla spesa statale già controllata, che non supera gli 80 miliardi su 400 circa totali (non comprendendo i trasferimenti agli enti pubblici e territoriali e la spesa per interessi). Il giudizio in sintesi della Corte è che, nonostante i progressi nel contenimento della spesa - che nel 2009 si sono visti -, alla fine gli obiettivi di deficit indicati dopo le misure anti-crisi sono stati rispettati solo grazie agli 11,6 miliardi procurati dallo scudo fiscale (per 5 miliardi) e dall’adeguamento dei bilanci delle imprese alle regole contabili Ias (per 6,6). Inoltre, nel 2009 sono andati meglio che in passato la spesa per il personale, dopo che fino al 2007 i contratti collettivi «di fatto hanno prodotto aumenti retributivi superiori all’inflazione effettiva», e i vincoli posti a Regioni ed enti locali. Lo stesso "Patto per la salute" tutto sommato ha funzionato. I più virtuosi sono stati tuttavia i Comuni. Alla luce di ciò, la Corte sostiene che ricette in grado di correggere i conti e rilanciare l’economia sono difficili, oggi; e mette in guardia il governo dal porre mano a «riorganizzazioni degli apparati», a esempio riordinando su base provinciale l’Agenzia delle Entrate. Sul taglio dei mega-stipendi, la Corte ripete che «più che per far cassa sarebbe un segnale di equità», per far accettare i mancati aumenti a tutti gli statali.