Economia

Etica. Cantone: «Sviluppo? Questione di legalità È la sfida necessaria per il Paese»

Paolo Lambruschi sabato 27 settembre 2014
Per lo sviluppo italiano la legalità è un fattore necessario, al Nord come al Sud. Non usa mezzi termini il presidente dell’autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone. Gli anni passati in trincea in Campania, dalle parti di Gomorra, gli consentono di valutare sia la capacità della malavita organizzata di penetrare nei tessuti amministrativi più fragili corrompendo politici e funzionari per dirigere le destinazioni degli appalti pubblici, quanto quella di migrare verso il Nord per investire e anche lì corrompere, utilizzando la grande liquidità e la capacità intimidatoria. Il risultato di cui non tutti sono consapevoli è che la corruzione porta alla progressiva perdita di competitività delle imprese, l’economia sana invece regge. «Eppure – fa notare al Castello sforzesco, nel cuore di Milano, che oggi e domani ospita 'Con il Sud sostenibile' organizzato dalla Fondazione Cariplo e dalla Fondazione con il Sud – solo quattro anni fa un prefetto di Milano aveva dichiarato che la ’ndrangheta non c’era a Milano. Il suo successore ha dovuto emettere 49 provvedimenti interdittivi a imprese della malavita organizzata infiltratesi nei lavori dell’Expo. Credo che sia un record che superi quello della Salerno- Reggio Calabria». Gli fa da controcanto l’economista milanese Marco Vitale, coscienza critica della finanza ambrosiana: «In Italia su 65mila detenuti, 11mila sono stati condannati per corruzione e 26mila per concussione. Eppure mentre nei convegni sulla malavita organizzata e i colletti bianchi, gli imprenditori intervengono e prendono posizione, non c’è consapevolezza né della gravità delle mazzette per l’efficienza del sistema né dei legami tra corruzione e malavita organizzata, che per certi versi coincidono». Raffaele Cantone prende la palla al balzo per difendere i provvedimenti anticorruzione dalle accuse di chi li ritiene dei freni all’economia: «I lavori di Expo non si sono fermati, sono i vertici delle imprese che hanno corrotto per avere appalti che non vedranno un soldo». E poi affonda: «In Italia c’è una forte sottovalutazione sociale della corruzione e questo è uno dei fattori che frena lo sviluppo. Senza moralità e legalità non c’è crescita ». E il riferimento è sia all’opinione pubblica, che si scandalizza molto per i politici corrotti e poco per i corruttori. E sottolinea le responsabilità della stessa classe dirigente imprenditoriale. «C’è una parte della classe dirigente del mondo economico che è in buona fede e ha paura, anche perché spesso non conosce i meccanismi per combattere la corruzione. Ce n’è poi un’altra che è consapevole della necessità di combatterla, ma viene messa all’indice da un’ultima fetta, credo minoritaria, che invece ritiene le norme anticorruzione inutili e dannose. Non dimentichiamo che le norme sul falso in bilancio furono sì approvate dal governo Berlusconi nel 2000, ma con la forte pressione di buona parte di Confindustria». E su questo terreno Cantone sprona l’associazione degli industriali: «I corruttori vanno espulsi come i mafiosi». E l’evasione fiscale da cui si traggono spesso i fondi neri usati per corrompere? «Si deve contrastare con maggiore efficacia – risponde deciso – anche con un cambiamento sul piano culturale. Dal punto di vista sociale l’evasore continua a essere visto come un simpatico ribaldo. Questo è il passaggio fondamentale cui vanno affiancati meccanismi premiali nei confronti di chi rispetta la legge. Può essere un salto di qualità». Si toglie un sassolino dalle scarpe con i nuovi meccanismi di rilevamento che inseriscono l’economia criminale nel calcolo del Pil: «A me pare una colossale stupidaggine – sbotta l’ex magistrato anticamorra – anche perché non è possibile rilevare con precisione né i proventi del crimine né quanta parte si sposti ad esempio al Nord». E indica la scommessa da vincere per creare sviluppo con la legalità anche nel Mezzogiorno. «La sfida oggi è il corretto utilizzo dei beni confiscati alla mafia. Vanno utilizzati, ma non solo per scopi sociali, perché nei paesi del Sud ci sono più centri anziani che anziani. Proviamo a destinarli alle imprese, soprattutto alle start up, per creare occupazione».