Economia

Ricerca. Studi professionali, crescono fatturato e investimenti Ict

giovedì 3 marzo 2016
Nel 2015 sono cresciuti redditività e fatturato degli studi professionali, è aumentato il tempo dedicato all’attività di consulenza, si sono affermati nuovi servizi più orientati al mercato. E sono cresciuti gli investimenti in nuove tecnologie da parte dei circa 150mila studi di avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari italiani, che complessivamente hanno speso oltre 1,1 miliardi di euro per l'Ict. In media, la spesa digitale per singolo studio sfiora i 9mila euro, quasi il 50% in più rispetto ai 6 mila euro preventivati lo scorso anno. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell'Osservatorio Professionisti e innovazione digitale della School of Management del Politecnico di Milano.Mentre circa il 40% degli studi professionali vede nelle tecnologie uno strumento di sviluppo, si evidenzia una chiara relazione tra l’andamento positivo di fatturato/redditività e l’adozione di nuove tecnologie: i professionisti con crescita in doppia cifra sono quelli che utilizzano maggiormente gli strumenti più evoluti.Le tecnologie più presenti sono quelle che abilitano l’esercizio professionale come la firma digitale, le banche dati, la gestione dei flussi telematici, ma gli investimenti futuri riguarderanno soprattutto software per la gestione elettronica documentale e la conservazione digitale a norma dei documenti dello studio, i portali per la condivisione documentale e di attività con i clienti, anche se gli studi più evoluti guardano con favore ai software per il controllo di gestione ai workflow e alle applicazioni di business intelligence."Tra le professioni giuridiche d'impresa - afferma Claudio Rorato, direttore dell'Osservatorio Professionisti e innovazione digitale - cresce la consapevolezza che le Ict siano un alleato dello studio. Oggi, pur in presenza di alcune zone d’ombra, una minoranza di professionisti più consistente del passato si sta muovendo, dimostrando capacità di autocritica e volontà di arricchire il bagaglio tecnico-specialistico di nuove competenze, per affrontare nuove sfide anche fuori delle aree tradizionali. Oltre alle prime avanguardie che hanno aperto la strada, il cambiamento coinvolge circa il 30% degli studi professionali nell'uso più intensivo delle tecnologie informatiche, che è sempre più frequente anche nel modello di business oltre che in quello organizzativo. Il miglioramento delle condizioni ambientali e di quelle economico-finanziarie ha permesso di innescare un circolo virtuoso: da una parte le tecnologie hanno consentito di migliorare la produttività e l’efficienza complessiva, dall’altra il miglioramento delle redditività ha permesso agli studi più sensibili alla tecnologia di aumentare la presenza tecnologica".Per Rorato, inoltre, "l’attività di consulenza è destinata a pesare sempre di più all’interno del conto economico e del tempo lavorativo. Se le attività tradizionali resteranno strumento di fidelizzazione in grado di garantire entrate regolari, questa garantirà margini più elevati con alcuni gradi di discontinuità temporale. E la consulenza online contribuirà sempre più a fornire un supporto come primo contatto con alcune realtà imprenditoriali".Nel dettaglio, la ricerca dell'Osservatorio Professionisti innovazione digitale rivela che il 54% degli studi professionali dichiara una redditività in crescita, rispetto al 43% dello scorso anno. Gli studi italiani sono soprattutto di micro e piccola dimensione: il 54% realizza un fatturato al massimo di 100 mila euro, con un portafoglio di clienti non superiore ai 50 nominativi, per metà il fatturato medio per cliente è di 2 mila euro. Il 73% degli studi è di natura individuale, l’organico medio è di due professionisti e due dipendenti.L’età media dei professionisti oscilla tra i 45 e i 57 anni, la presenza femminile è quasi pari a quella maschile tra avvocati e consulenti del lavoro, più maschile tra i commercialisti. I dipendenti hanno un’età media di poco inferiore ai 40 anni e sono prevalentemente donne. In media, gli studi professionali sono fornitori della P.a. nel 25% dei casi. Eccetto gli studi della propria categoria professionale, i concorrenti più frequenti sono le associazioni di categoria e i Caf, verso i quali la leva competitiva più utilizzata è il prezzo. Circa il 30% dei professionisti vede nella collaborazione una leva importante contro la crisi e per l’ampliamento del modello di business: un terzo degli studi collabora stabilmente con altri, anche se in modo non formalizzato.L’analisi su un panel di 258 studi che hanno risposto alla survey dell’Osservatorio sia nel 2014 sia nel 2015 rivela che - fatto 100 il tempo lavorativo dello studio - cresce il tempo dedicato alle attività di business (70% vs 60%). Si ipotizzano quindi circa venti giorni in più a disposizione degli studi per produrre ricavi grazie alla migliore organizzazione, ottenuta anche con l’ausilio delle tecnologie.A livello generale, invece, l’indagine del 2015 evidenzia che l’attività di consulenza pesa il 27% circa, in aumento rispetto agli anni precedenti (16%-20% circa). Pur rimanendo prevalente l’attività tradizionale, nel 2015 la consulenza cresce per un numero di studi doppio rispetto a quelli che dichiarano un incremento dell’attività tradizionale (29% contro 14%). I professionisti trovano un alleato prezioso nella tecnologia, perché l’8% la offre anche attraverso un portale accessibile alla clientela. Inoltre, il 51% degli studi ha interesse per la consulenza online. Le principali ragioni di ciò sono la maggiore visibilità (44%), la possibilità di intercettare nuova clientela (29%), la fidelizzazione della clientela esistente (18%), l’incremento del fatturato (9%).I professionisti si stanno affrancando gradualmente dai tradizionali servizi guidati da obblighi di legge per andare verso altri più market oriented. Trasversale a tutte le professioni (59%) è la consulenza contrattuale su temi non Ict, ma comune è la tendenza verso un maggiore portafoglio di servizi nell'immediato futuro, in particolare l’attività di consulenza per la finanza agevolata o per i finanziamenti europei (36%), il supporto allo sviluppo di nuovi mercati (35%) e l’assistenza alle startup (34%).L’assistenza ai clienti per le attività nei mercati esteri è ancora un punto debole. Solamente il 5% degli studi assiste direttamente i clienti sull’internazionalizzazione, l’8% lo fa ricorrendo a corrispondenti locali e il 15% in modo parziale, limitandosi a svolgere alcune attività senza interagire con corrispondenti o altri soggetti esteri. Il 38% non dispone di clientela interessata ai mercati esteri, mentre il 12% è impreparato. Appena il 3% degli studi si sta attrezzando per far fronte a questa esigenza.Cresce la domanda di formazione per gestire meglio la comunicazione e le relazioni con l’esterno. E si indirizza principalmente sulle materie giuridiche e sull’aggiornamento normativo (87%), sui temi economici e aziendali (59%), sull’addestramento degli applicativi (51%) e sull’organizzazione dello studio (50%). Ma per il 2016 cresce l’interesse verso le soft skills come team building o public speaking (+10%), comunicazione (+9%) e utilizzo dei social network (+6%).Le competenze che tutte le professioni ritengono utili da sviluppare sono le abilità nell’uso dell'Ict (33%) e la comunicazione per promuovere meglio lo studio. Nello specifico, gli avvocati privilegiano lo sviluppo di competenze su contenuti giuridici legati alle Ict (27%), i commercialisti, i consulenti del lavoro e gli studi multidisciplinari la capacità di analisi organizzativa per le aziende clienti."È evidente il desiderio da parte degli studi professionali di interagire meglio con il mercato e di aumentare alcune abilità nell’ambito della comunicazione. Si sta creando la consapevolezza che nuove abilità devono entrare nella ‘cassetta degli attrezzi’ del professionista, che non può trascurare le tendenze emergenti dal mercato", conclude Rorato.