Economia

Stress. Il 48% dei lavoratori ne risente almeno una volta ogni due giorni

Maurizio Carucci venerdì 1 settembre 2023

In crescita il malessere dei lavoratori

Lo stress e la cattiva salute mentale rimangono problemi persistenti sul posto di lavoro. È un argomento di cui si parla molto, ma il dibattito rimane acceso su quanto si stia effettivamente facendo per favorire il benessere mentale in azienda. L'enorme quantità di cambiamenti che le aziende hanno affrontato negli ultimi anni - tra cui la pandemia, gli eventi geopolitici e l’instabilità economica - ha costretto i dipendenti e i datori di lavoro a fronteggiare situazioni enormemente complesse. A questo proposito, è fondamentale che le aziende si impegnino a promuovere modelli di lavoro che siano in grado di prestare la giusta attenzione alle varie esigenze dei talenti presenti nel contesto lavorativo. Nell’International Workforce and Wellbeing Mindset Study condotto da Alight nel 2022, è emerso quanto sia diffuso e serio il problema dello stress, che spesso sfocia nel burnout, tra i dipendenti. Infatti, secondo il rapporto, risulta che negli Stati Uniti e in alcuni Paesi dell'Europa occidentale, ben il 73% dei dipendenti valuta i propri livelli di stress come "moderati" o "alti", e solamente il 34% dei dipendenti ritiene che i propri datori di lavoro si preoccupino veramente del loro benessere. Eppure, il punto di vista dei datori di lavoro dimostra una realtà differente: secondo lo studio pubblicato nel 2023 a cura di Alight Benefit sul luogo di lavoro in un mondo che cambia, che raccoglie le opinioni di lavoratori e dirigenti sul tema dei programmi di benefit aziendali, risulta che il benessere mentale dei propri dipendenti è al primo posto tra le priorità dei datori di lavoro italiani. Seguono poi il benessere fisico, l’allineamento tra valori dell’azienda e quelli dei lavoratori, le relazioni sociali e il work-life balance. «Il benessere psicologico dei lavoratori è un elemento che nessun’azienda può permettersi di ignorare. È necessario che ogni dipendente possa sentirsi tutelato e supportato da un ambiente lavorativo aperto all’ascolto e pronto a offrire le soluzioni giuste per le esigenze di ciascuno - spiega Silvia Maffucci, Hr Director di Alight -. Se non trattati in tempi brevi, i livelli elevati di ansia e stress possono portare a una mancanza di motivazione, a una riduzione della produttività, a prestazioni scarse e a un aumento dell'assenteismo. Ogni singolo componente della realtà lavorativa deve avvalersi di strumenti e supporti adatti a garantire un’esperienza lavorativa il più serena possibile e gestire i momenti di difficoltà in modo concreto ed efficace». Promuovendo il benessere sul lavoro, infatti, si crea un ambiente positivo in grado di aiutare e stimolare i dipendenti a dare il meglio di sé e a migliorare le prestazioni complessive dell'azienda. È proprio quando si dimostra di avere cura dei propri dipendenti che il dipendente stesso si sente concretamente ascoltato. Per aiutare ad attrarre e trattenere i talenti, soprattutto in un mercato del lavoro altamente competitivo come quello odierno, è importante far sentire le persone sostenute anche nei momenti di crisi servendosi di risorse utili per prendersi cura della propria salute fisica, emotiva e finanziaria. Per questo motivo, è essenziale alleggerire quei fattori di stress che turbano maggiormente i dipendenti, tra cui le preoccupazioni finanziarie, che sono generalmente grande motivo di ansia: possono essere semplificate avvalendosi di soluzioni e benefit innovativi, personalizzati e adatti alle esigenze del singolo dipendente.

Secondo l’indagine di Axa–Ipsos sui temi del benessere e della salute mentale, il 56% degli italiani soffre di stress, l’8% in più rispetto al 2022. Mentre il ministero del Lavoro ha registrato 2,2 milioni di dimissioni volontarie nel 2022, +13,8% rispetto all’anno precedente. Le cause di questo fenomeno, che non accenna a fermarsi, sono collegate alla volontà di evitare il burnout, lo stress lavorativo e più in generale sono riconducibili all’assenza di una leadership aziendale sana che sappia coniugare le esigenze personali del lavoratore con gli obiettivi aziendali. La leadership quindi è quanto mai cruciale per garantire benessere, produttività e frenare le dimissioni volontarie. Per il sondaggio People at Work 2023 dell'Adp Research Institute, condotto su oltre 32mila lavoratori in 17 Paesi (2mila lavoratori in Italia), il 37,7% dei lavoratori italiani pensa che il proprio datore di lavoro non stia facendo nulla per promuovere una salute mentale positiva. Il 18% pensa che invece sia attivo soprattutto tramite il dialogo, favorendo una comunicazione continua e costante, l’11% dichiara come il proprio datore di lavoro favorisca dei giorni di ferie per il benessere personale (per esempio in molte multinazionali il giorno del compleanno corrisponde a un giorno di ferie regalato), sempre l’11% dichiara come nella propria azienda sia in vigore il diritto di disconnessione da mail e messaggi fuori dall’orario di lavoro, mentre secondo il 10,5% vi sono vere e proprie pause stabilite per la gestione dello stress (per esempio stanza zen, meditazione, palestra). Alla domanda “Hai mai la sensazione che il tuo lavoro sia influenzato negativamente dallo stress?” il 63% ha risposto “sì”. Di questi, il 29% lamenta di non essere in grado di svolgere il lavoro al meglio delle proprie capacità mentre il 34% lamenta di avere continuamente necessità di staccare con piccole pause. Il 51% dichiara poi come i colleghi siano un forte sostegno. Per quanto concerne lo stress, il 17% degli intervistati afferma di sentirsi stressato giornalmente (21,8% donne, 12,8% uomini), il 9% almeno 4-6 volte a settimana (percentuali simili per uomini e donne), il 22% almeno 2-3 volte a settimana (stessa percentuale del 22% per entrambi i sessi), una volta al mese il 9,25% (8% per le donne e 10% per gli uomini). Tra le cause di stress non solo il carico di lavoro, ma anche l’insoddisfazione. Il 19,6% degli italiani afferma infatti di non sentirsi soddisfatto della propria posizione, quasi uno su cinque. Le cause principali sono tre: il 38% lamenta il fatto di avere avuto un aumento delle responsabilità che non è combaciato con un aumento di stipendio, il 34,3% non ha avuto l’avanzamento di carriera che aspettava, per il 30% il proprio lavoro non è più stimolante. «Una cultura dell'attenzione alla salute mentale sul posto di lavoro è incredibilmente preziosa sia per i datori di lavoro sia per il personale - sottolinea Marcela Uribe, general manager di Adp Southern Europe -. Quando le persone si sentono al sicuro e supportate, è molto più probabile che facciano un lavoro migliore, diminuisca l’assenteismo e si respiri più ottimismo, tutte cose che favoriscono la produttività. Iniziative come quella di offrire programmi di assistenza ai dipendenti potrebbe suggerire che i datori di lavoro stiano finalmente razionalizzando e formalizzando le attività di supporto al benessere dei dipendenti, anche esternalizzandole. Tuttavia, devono anche integrare questo tipo di supporto nelle pratiche lavorative quotidiane e istruire e formare i manager su come affrontare lo stress e i problemi di salute mentale nel proprio team». Inoltre sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, incluse depressione e ansia del lavoratore (Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 ottobre 2022, n. 29611). Si riconosce così il ruolo dell’azienda nell’insorgenza di disturbi come ansia e depressione. Ne consegue che ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata dall’Inail, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo, in tale caso, il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata. «Depressione, ansia e malessere mentale sono quindi oramai considerate malattie che possono essere causate anche da un cattivo ambiente lavorativo, o da un eccessivo carico. È fondamentale che il benessere mentale dei lavoratori diventi una priorità per tutti i datori di lavoro, pena una perdita di produttività, ma anche reputazionale, che potrebbe essere davvero dannosa», afferma Uribe.

Il personale socio-sanitario a rischio

Il personale medico nel nostro Paese è ben oltre l’orlo della crisi di nervi. Tre operatori su quattro si lamentano per lo sforzo fisico, nove su dieci per la retribuzione e le prospettive di carriera. Quasi tutti per lo sforzo mentale ed emotivo (rispettivamente 97% e 93% dei soggetti). Il dato è preoccupante, anche perché in gioco c’è il nostro sistema sanitario nazionale. A lanciare l’allarme è l’Inapp-Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche. Solo pochi mesi fa erano considerati gli eroi della pandemia. Oggi, un po’dimenticati dall’opinione pubblica, sono loro a “dire 33” e il quadro che ne esce è particolarmente critico. Tra il 2008 e il 2018, a causa soprattutto del blocco del turnover e dei tagli alla spesa sanitaria previsti dai piani di rientro regionali, il personale del sistema sanitario nazionale si è ridotto di oltre 41mila unità. Questo ha comportato un progressivo aumento dell’età media, che nel 2020 era di circa 51 anni per i medici e 47 per gli infermieri. Come se non bastasse, entro il 2027 si prevede il pensionamento di circa il 28% del personale medico e dell’8% di quello infermieristico. Il peso delle attività si è, dunque, concentrato su un numero ridotto di lavoratori, per di più avanti con gli anni. «Il problema della carenza di personale sanitario – precisa il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp - rischia di assumere in Italia dimensioni tali da compromettere sia i livelli di benessere lavorativo degli addetti, già normalmente a rischio di burnout, che la sostenibilità stessa del nostro Servizio sanitario nazionale, anche a causa di problemi strutturali non risolti sul piano dei rapporti tra sistema pubblico e operatori privati. L’aumento dell’età media degli operatori e i prossimi pensionamenti, in assenza di un adeguato turnover, rischiano di compromettere l’efficienza dei servizi e la sostenibilità stessa del nostro sistema sanitario nazionale in una fase di progressivo incremento della domanda di servizi di prevenzione, cura e assistenza legato all’aumento del peso della popolazione più anziana». Ma come ha visto cambiare le proprie condizioni di lavoro nel corso del tempo il personale sanitario? Circa il 70% ritiene peggiorati i ritmi di lavoro, il 65% le condizioni economiche e il 45% le opportunità di carriera e di affermazione professionale. La condizione economica è considerata peggiorata maggiormente dai lavoratori delle strutture pubbliche, mentre i cambiamenti nei ritmi e orari di lavoro prevalentemente dai lavoratori delle strutture private. E come vedono il proprio futuro professionale? Condizioni economiche e ritmi/orari di lavoro sono gli elementi critici anche nelle aspettative degli operatori rispetto all’evoluzione del proprio lavoro nei prossimi cinque anni. Inoltre, oltre il 50% dei rispondenti, senza particolari distinzioni di genere ed età, sembra non intravedere alcuna possibilità di sviluppo professionale, con opportunità di carriera e livello di autonomia decisionale ritenuti immutabili nei prossimi cinque anni. Prevale il timore di un aggravio di lavoro per coloro che rimarranno in servizio, con percentuali progressivamente più elevate all’aumentare dell’età e un’incidenza media che sfiora il 76% per il totale degli ultracinquantenni. Lo scenario così dipinto, sia per quanto riguarda la situazione attuale, che per le aspettative nel prossimo futuro, sembra giustificare i risultati dei dati riguardanti le opinioni relative ai tempi di uscita dal lavoro. Circa il 28% del totale afferma di essere interessato ad un’eventuale possibilità di ritiro anticipato, anche se ciò significasse una riduzione dell’assegno mensile del 20-30%. Si tratta di una percentuale non trascurabile, se si considera che non sono i lavoratori più anziani, ma i più giovani, evidentemente più preoccupati per l’ulteriore impegno e il peggioramento di alcune condizioni lavorative che prevedono di dover affrontare nel corso di una vita lavorativa giocoforza prolungata. «Solo dopo aver potenziato gli organici, introdotto nuove politiche di gestione del personale e restituito riconoscimento e valore agli operatori – conclude Fadda - sarà possibile coinvolgerli attivamente nel delicato processo di trasformazione del Sistema sanitario nazionale, auspicato da più anni. Il rafforzamento delle risorse, tuttavia, deve essere accompagnato da un rinnovamento della governance del sistema che parta da un chiarimento dei rapporti tra strutture sanitarie pubbliche e operatori privati, realizzando una nuova organizzazione del lavoro e dei servizi nella quale l’innovazione tecnologica e l’age management trovino spazio e supporto adeguati. Questa è la condizione necessaria per superare le sfide poste dalle trasformazioni demografiche, in una prospettiva di sostenibilità dell’occupazione e del sistema sanitario nel suo complesso». Quello dello sviluppo tecnologico, del resto, resta un aspetto delicato. È ampiamente condiviso dal personale sanitario che la scarsa diffusione delle tecnologie sia prevalentemente imputabile a mancati investimenti delle strutture sanitarie (90%), alla mancanza di tempo per la formazione (78%) ed alla strumentazione eccessivamente costosa (75%). A fronte di un limitato uso delle tecnologie e delle difficoltà riscontrate, i partecipanti alla ricerca hanno comunque manifestato convinzione nell’utilizzarle e intenzione di apprendere e aggiornarsi (49% dei medici; 54% degli infermieri; 61% di operatori sociosanitari), nonché nel considerarle indispensabili allo svolgimento del proprio lavoro (21% del totale). Dunque, alla proattività del personale sanitario è necessario rispondere con interventi di sistema che consentano agli operatori di interagire efficacemente con le tecnologie e rafforzando uniformemente le infrastrutture sull’intero territorio nazionale, in modo da ridurre i divari già esistenti e scongiurare il rischio di aggravare ulteriormente l’eterogeneità nella fruizione dei servizi di cura.

I consigli per prevenire lo stress

Secondo Roberto Castaldo, Performance Management Specialist e fondatore della società 4 M.A.N. Consulting, «tutto passa attraverso un interesse sincero verso le persone, con il riconoscimento delle caratteristiche, dei bisogni e delle aspettative di ognuno. Compito molto complesso se il leader non ha una corretta formazione in termini di people management e soft skill. Oggi non può più prescindere dall’avere competenze in termini di numeri, persone e processi». Più nel dettaglio, Castaldo indica i punti strategici cui ogni datore di lavoro deve prestare la massima attenzione:

Empatizzare e comprendere le persone del team: per prima cosa si deve abbandonare la propria autoreferenzialità, comprendendo che il proprio punto di vista è solo uno dei tanti possibili, ma non l’unico. Utilizzare al meglio il protocollo Hpp (Human Performance Protocol) che prevede l’applicazione di tre principi: gentilezza, generosità e abbondanza.

Rivolgersi ai dipendenti con educazione e guidarli dando il buon esempio: un buon leader risulta credibile e quindi rispettato se è coerente tra ciò che comunica alla forza lavoro e ciò che mette in pratica con le sue azioni.

Essere parte del gruppo e non solo una guida per il team: permette di ridurre le distanze e creare più coinvolgimento e partecipazione.

Dare e ricevere feedback con costanza: è il modo migliore per orientare i comportamenti delle persone, affinché abbiano sempre chiaro come agire e non si sentano abbandonate a loro stesse.

Considerare il dipendente come un cliente: in questo modo diventa un automatismo cercare di comprenderne i processi decisionali, i bisogni e le paure, oltre a strutturare l’ambiente di lavoro in modo che sia da stimolo per la produttività. Ci sono diversi strumenti che possono essere impiegati: analisi del clima, strumenti di feedback, sistemi incentivanti e welfare. Ma la vera differenza sta nell’usare un work flow management che parta dal recruiting e segua un protocollo di lavoro molto orientato alle persone.

La formazione continua come leva per la retemption in azienda e l’engagement: oggi le persone chiedono di essere sempre aggiornate, di avere nuovi stimoli e quindi opportunità di crescita professionale.

Le iniziative nelle aziende

Mercer Marsh Benefits, società del gruppo Marsh McLennan che offre consulenza in ambito benefit, nello studio Health on Demand 2023, rivela alcuni importanti spunti di riflessione sulla percezione da parte dei lavoratori della capacità di ascolto delle aziende rispetto al loro stato di salute. Emerge un quadro di stress simile a quello dell’edizione precedente, ma anche una maggiore consapevolezza da parte dei lavoratori dei propri bisogni in termini di salute fisica e mentale. «Le aziende oggi hanno la grande e concreta opportunità di giocare un ruolo decisivo nella vita delle persone: i lavoratori che saranno soddisfatti dell’offerta di soluzioni e servizi a supporto della salute e del benessere generale proposti dal proprio datore di lavoro saranno maggiormente ingaggiati, creando con la propria azienda un solido legame. I dati dello studio ci mostrano inoltre che oltre tre su quattro dipendenti (77%) che hanno accesso a un piano di benefit aziendale ricco e strutturato dichiarano che non lasceranno la propria azienda. Questo dato è cresciuto dal 49% dell’edizione precedente», dichiara Sarah De Rocco, Chief Commercial Officer di Marsh McLennan. Dopo la pandemia, il tema dei servizi alla salute offerti dalle aziende ha assunto importanza sempre maggiore, essendo strettamente correlato al grado di ingaggio nell’ambito dell’organizzazione. In altri termini, un lavoratore che non si sente “protetto” dall’azienda rispetto alla sua salute, fisica e mentale, proverà minore coinvolgimento e sarà meno produttivo. «Gli investimenti nei benefit rivolti alla copertura sanitaria e al supporto psicologico sono aumentati continuamente dal 2020 e oggi ci si interroga su come ridisegnare la strategia dei benefits perseguendo obiettivi di personalizzazione. Al contempo occorre dare la massima priorità alla stabilizzazione della spesa nel medio-lungo termine, anche alla luce della persistente crescita dell’inflazione generale e di quella sanitaria - continua De Rocco -. È l’era degli inclusive benefit. Piuttosto che continuare a offrire gli stessi benefit del passato e con le stesse modalità, occorre ripensare e ridisegnare la propria strategia rivolta all’identificazione di persona, attraverso una serie di analisi approfondite dedicate a comprendere le esigenze della propria popolazione aziendale non solo per categoria – genere, età – ma anche in base all’attuale fase di vita in cui il lavoratore si trova e a ulteriori bisogni in una logica equa e inclusiva».

GE HealthCare, azienda impegnata nell'innovazione della tecnologia medica, della diagnostica farmaceutica e delle soluzioni digitali, arricchisce l’offerta di servizi per il benessere dei propri collaboratori attraverso una partnership con la start up Unobravo, servizio di psicologia online e Società Benefit. La collaborazione, che ha l’obiettivo di aiutare le persone nel raggiungimento del benessere psicologico e di supportarle nella crescita personale, coprirà tre macro aree che spaziano dalla riduzione degli stereotipi femminili in azienda al supporto alla genitorialità sino alla gestione dello stress e della conflittualità per potenziare le relazioni interpersonali. Fino a fine anno saranno organizzati workshop/webinar per trattare i tre temi individuati, a cui potranno partecipare tutti i dipendenti che lo desiderano sia con la presenza in sede che in collegamento remoto. L’iniziativa rientra nel programma HealthHead di GE HealthCare, guidata da un gruppo di dipendenti e che comprende diversi progetti volti a promuovere stili di vita più sani tra i dipendenti, orientati al raggiungimento di un equilibrio fisico, emozionale, sociale ma anche finanziario (per il presupposto secondo cui la capacità di gestire i propri risparmi ha un impatto diretto sull’equilibrio psicofisico complessivo). Del programma fanno poi parte anche iniziative dedicate all’awareness sull’importanza degli screening medici, incontri di mindfulness, convenzioni con palestre, counseling desk ed attività di aggregazione extra lavoro orientate allo sport.

Cresce l’attenzione delle organizzazioni al benessere psicologico e alla promozione della cultura della salute, anche mentale, delle proprie persone. Accade anche in risposta a una purtroppo sempre più ampia diffusione di sindromi da stress e ansia correlate al lavoro. Nel 2022 con il servizio Sygmund per Odm è stato offerto ascolto e supporto psicologico a quasi 900 persone, di cui circa il 60% uomini e 40% donne, in netta prevalenza nella fascia di età 30-40 anni (38%), seguiti dagli under 30 (28%) e da coloro che sono nella fascia 51-60 anni (18%). Minor affluenza nelle fasce di età 41-50 (12%) e over 60 (4%), in quest’ultimo caso anche per una minor presenza all’interno delle aziende. Il servizio è stato lanciato un anno fa da Odm Consulting, società di Gi Group Holding. «Attualmente, circa il 65% della popolazione riporta sintomi di stress che possono implicare effetti negativi per la persona e per l’azienda, andando a minare il benessere individuale e collettivo, il coinvolgimento, le relazioni e la produttività – sostiene Fabio Musumeci, psicologo e responsabile dell’area People Development di Odm Consulting -. Il benessere organizzativo è il risultato di numerose variabili interdipendenti ed è condizione fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi strategici. Promuovere una cultura della salute, offrendo supporto psicologico e favorendo un ambiente sicuro, in cui vi siano opportunità, leadership, cultura e clima positivi, consente di aumentare il benessere, attutendo i costi».